Parigi e i social network: fermiamoci un attimo

Abbiamo discusso a lungo prima di intraprendere la stesura di qualsiasi testo riguardante la tragedia che si è consumata durante questa notte a Parigi.

Abbiamo cercato di capire come impostare l’articolo che state leggendo; se farne un pezzo di mera cronaca o se renderlo un approfondimento vero e proprio.

In realtà, a un certo punto ci siamo paradossalmente resi conto che non c’è molto da dire a riguardo.
Troviamo che l’argomento “terrorismo” sia stato, nel corso del tempo, ampiamente abusato, reso un grumo di opinioni e dibattiti. Un luogo confuso, quasi torbido da cui è difficile uscirne senza macchiarsi.

Il fatto è che come in tutte le faccende legate alla disputa o alla rivendicazione di un’ideologia, la verità sta tristemente nel mezzo.

E’ da ignavi, non riuscire a prendere uno schieramento.
E’ da codardi, non esprimere quello che abbiamo dentro.
E’ da insicuri, avere molti dubbi e non essere in grado di fare una scelta come quella di redarre un prodotto d’informazione adeguato.

Ne siamo consapevoli, così come siamo consapevoli che la totale assenza di dubbi è, come direbbe il nostro Umberto E., sinonimo di stupidità.

Per questo motivo, abbiamo deciso di limitarci, per quanto poco, a ribadire il nostro cordoglio verso i familiari delle 140 vittime dell’attentato, interrompendo immediatamente la pubblicazione degli articoli in programma nel week-end corrente e, soprattutto, esortando il popolo virtuale a non cadere nella trappola dell’imbecillità. La distanza che assicura lo scrivere dietro una tastiera e uno schermo a volte ci fa andare con la mano pesante, dire cose che non andrebbero dette, lasciarsi sfuggire pillole di puro odio che, credeteci, fra ieri notte e stamattina hanno invaso i social con ferocia.

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Nelle ultime ore, infatti, il web ha risposto con una rabbia che, stando ai commenti che abbiamo letto, ci risulta disorientata quanto inadeguata. Gente si è sentita in dovere di fare “campagna elettorale mediatica”, altri di criticare i primi, altrove si leggeva di accuse di “buonismo” e di invocazioni alla “pulizia etnica”. Magari casi isolati, ma significativi. Colpi verbali, che certo nella carne fanno meno male delle bombe, ma che di quelle bombe riprendono lo stesso sentimento di base: l’odio. Odio indiscriminato, che colpisce nel mucchio, che non fa distinzioni. Proprio come un’esplosione.

Per questo noi abbiamo deciso di andarci piano, fare un passo indietro, aspettare – come si dice – che le “bocce si fermino”. Per una questione di rispetto per le vittime, certo, ma anche di rispetto per noi stessi: più si è lucidi e calmi, più è probabile riuscire a dire qualcosa di sensato.

Una considerazione però sui social va fatta: oltre alla gente che invocava a schiacciarli come scarafaggi “senza fare distinzione e andare tanto per il sottile”, c’era chi – sempre attraverso i social network – offriva aiuto e riparo utilizzando l’hastag #porteouverte, “porta aperta”, per offrire ai superstiti un rifugio, un primo soccorso, il sapore di casa. I social network sono strumenti: pensiamoci bene a come li usiamo; con l’energia atomica si può illuminare una città o cancellarla dalla Terra. Dipende dalle nostre intenzioni, non dal mezzo in sé.

Rimaniamo, infine, allibiti, addolorati, ma gridando vendetta di fronte agli attacchi dei terroristi da noi stessi creati e armati ci illudiamo di essere in qualche modo superiori mentre chi ne ha pagato le conseguenze sono coloro che hanno avuto l’unica colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

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Report completo più foto di alcuni dispersi
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