Sherlock Holmes e la chimica – parte 1

di Luigi Garlaschelli
membro del CICAP e docente di chimica presso l’Università di Pavia

Sherlock Holmes fu il primo detective della narrativa ad applicare, nella soluzione dei suoi casi, alcuni metodi scientifici che anticiparono quelli in seguito realmente adottati dalle polizie di tutto il mondo. Nel primo racconto della serie, Uno Studio in rosso, Arthur Conan Doyle, l’autore, fa elencare a John H. Watson (personaggio che diverrà poi il fedele compagno e aiutante di Holmes) tutte le capacità e i limiti del detective. Risulta che Holmes ha conoscenze nulle di letteratura, filosofia e astronomia; scarse di politica; variabili di botanica (riconosce tutti i veleni vegetali); accurate ma non sistematiche conoscenze di anatomia; pratiche ma limitate di geologia (riconosce i tipi di terreni); conosce bene il diritto britannico, la scherma, il pugilato, e i particolari della cronaca nera; suona bene il violino. Le sue conoscenze di chimica sono definite invece “profonde”. Anche l’amico di Watson, mentre lo conduce da Sherlock Holmes, lo descrive come “un chimico di prim’ordine”.

In effetti lo storico incontro tra Watson e Sherlock Holmes avviene nel 1881, in un laboratorio di chimica dell’ospedale, “uno stanzone sottotetto ove si allineavano una miriade di flaconi” con “larghi tavoli bassi irti di storte, provette e piccoli becchi Bunsen”. Alla vista di Watson e del suo accompagnatore, Holmes si alza di scatto pieno di entusiasmo e mostra loro la sua nuova reazione per il riconoscimento del sangue, esaltandone l’importanza per la medicina legale.

“Prendiamo del sangue fresco”, disse, infilandosi un lungo spillone nel dito e aspirando qualche goccia di sangue con una pipetta.
“Ora, aggiungo questo poco sangue a un litro d’acqua. Come vede, il liquido che ne risulta conserva l’aspetto di acqua pura. La percentuale del sangue non è certo maggiore di uno a un milione. Eppure, sono sicurissimo che otterremo la reazione caratteristica.” Mentre parlava, aveva gettato nel recipiente alcuni cristalli bianchi, aggiungendo poi qualche goccia di un liquido trasparente. In un attimo il contenuto del recipiente assunse un color mogano opaco e un sedimento brunastro precipitò sul fondo”.

Tra gli appassionati di Sherlock Holmes vi sono ovviamente anche scienziati che si sono chiesti se questo suo test fosse solo una finzione letteraria di Conan Doyle o avesse qualche verosimiglianza scientifica.
Prima del 1875 il sangue era identificato con qualche accuratezza dall’esame microscopico dei globuli rossi (che permette solo una differenziazione tra mammiferi e non), dal test dell’ematina (cristalli di emina formati per evaporazione di sangue in presenza di acido acetico), e dal test dell’ammoniaca (colore bruno se si usa ammoniaca concentrata).

Holmes cita il test del guaiaco. A una soluzione idroalcoolica di guaiaco, una resina vegetale, è aggiunta una piccola quantità del presunto sangue; poi si aggiunge dell’acqua ossigenata. Se il materiale è sangue, compare una colorazione blu. La composizione esatta della resina non è nota; comunque dalla resina si ottiene il guaiacolo (o-metossifenolo). I composti analoghi al guaiacolo formano per ossidazione un colorante simile all’aurina. Un prodotto più complesso potrebbe dare colori più intensi, più vicini al rosso o al marrone rossiccio.

Test del guaiaco

La maggior parte dei test per il sangue si basano sullo stesso principio: la perossidasi, un enzima del sangue, agisce come catalizzatore per l’ossidazione di un composto chimico che produce un colore caratteristico. Tra i composti che potrebbero essere il “liquido incolore” di Holmes sono stati ipotizzati acidi come l’acetico o il propionico, per aumentare le velocita’ di ossidazione. I cristalli chiari potrebbero essere degli ossidanti come perossido o perborato di sodio. Il liquido trasparente potrebbe essere un composto come il nitrosofenolo + dimetilanilina, o il nitroso–naftolo.

Il test classico per il sangue è stato fino a poco fa quello della benzidina; essa fu scoperta nel 1845 ma non venne usata in medicina legale fino al 1904. Ora si usano analoghi non cancerogeni, ma meno sensibili. Lo speciale reagente usato da Holmes avrebbe potuto essere anche benzidina.

Comunque, benché Sherlock Holmes sia presentato da Conan Doyle come un detective che si basa sul rigore scientifico, se si esaminano bene alcuni particolari dei suoi racconti risulta chiaro che l’autore era invece sorprendentemente carente in questo campo. La chimica, in particolare, è citata diverse volte; e a ragione, poiché essa ha un grande valore nella medicina legale. Ma Doyle, benché fosse medico, è impreciso praticamente in ogni caso.

Torniamo al test sul sangue. Di esso non si parlerà mai più nei sessanta racconti e romanzi su Sherlock Holmes, e di esso non viene descritta una prova in bianco, né una che ne dimostri la specificità verso il sangue. Piuttosto, Holmes dice che una goccia di sangue in un litro d’acqua corrisponde a una diluizione di una parte su un milione. In tal caso, Holmes avrebbe dovuto usare un microlitro di sangue. Ora, si sa invece che una goccia d’acqua corrisponde a circa duecento microlitri. Il sangue, più viscoso, formerebbe probabilmente gocce anche più grosse. Anche supponendo che Holmes abbia usato solo una parte del sangue prelevato, diciamo cinquanta microlitri, il rapporto sarebbe cinquanta volte superiore (uno su ventimila). Ci si aspetterebbe che un “chimico di prim’ordine” sia più preciso di così.

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Luigi Garlaschelli

Luigi Garlaschelli è un chimico dell’Università di Pavia. Oltre che occuparsi di ricerca accademica, è socio del CICAP (Comitato per il Controllo delle Affermazioni delle Pseudoscienze, fondato più di 20 anni fa da Piero Angela, e di cui fanno parte nomi di spicco della scienza italiana) . Si è sempre interessato di fenomeni mysteriosi e paranormali, miracoli, pseudoscienze e divulgazione. Famosi la sua riproduzione del “miracolo” di San Gennaro e della Sindone di Torino.
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