Si chiamano LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory cioè osservatorio interferometro laser delle onde gravitazionali) e Virgo le due strutture entro le quali è avvenuto l’evento scientifico sensazionale: la rilevazione di onde gravitazionali.
Molti si chiederanno: Come mai tanto clamore? Che sono queste onde? Perché sono così importanti?
Daremo soddisfazione a tali domande nel corso dell’articolo; vediamo perciò di capire un po’ meglio di cosa si tratta e come si è giunti a questo punto.
Torniamo indietro nel tempo, giungendo all’anno 1915 quando un fisico tedesco, cercando di conciliare la sua teoria di generalizzazione della relatività Galileiana con la gravitazione universale di Newton, propone un modello del tutto nuovo, complesso, ma che compie egregiamente il lavoro a cui è stato destinato: la Relatività Generale.
L’anno seguente Albert Einstein pubblica il frutto del suo lavoro sulla rivista tedesca Annalen der Physik e da lì entra definitivamente nel ristretto pantheon dei grandi geni che hanno rivoluzionato il sapere; anche se non riceverà mai il Nobel per questa sua strabiliante teoria, in quanto troppo complessa per essere compresa (si dice che solo due o tre persone in tutto la comprendessero appieno) e poi non si erano cercate conferme sperimentali (nonostante alcune di queste vennero ottenute in modo del tutto fortuito). All’interno del modello ipotetico l’equazione di campo, molto complessa da risolvere, spiega il comportamento dello spazio-tempo in prossimità di un punto dotato di una propria certa massa o energia.
dove:
- Rμν è il tensore di curvatura di Ricci;
- R è la curvatura scalare;
- gμν è il tensore metrico;
- Λ è la costante cosmologica;
- Tμν è il tensore energia impulso;
- c è la velocità della luce;
- G è la costante gravitazionale.
Sul significato di ciascun elemento della formula rimandiamo a ricerche personali del lettore, dato che spiegarla in ogni dettaglio non rientra nel compito di questo articolo.
La complessità di questa equazione sta anche nel fatto che accetta soluzioni diverse, descrivendo diversi comportamenti del cronotopo (altro nome dello spazio-tempo) a seconda dell’entità che lo perturba; nel caso si tratti di oggetti molto massicci, molto vicini ed in rotazione tra loro, l’equazione prevede perturbazioni costanti del tessuto spaziotemporale tutt’intorno a questi oggetti: le onde gravitazionali.
Proprio così, circa cento anni fa Einstein aveva previsto l’esistenza di questo fenomeno, solamente in virtù del fatto che la legge matematica a cui era giunto lo accettava come soluzione particolare; un vero genio.
L’unico ostacolo consiste nella riprova sperimentale, già perché in teoria qualunque massa in movimento genera onde gravitazionali. Queste onde però sono assai deboli, poiché la gravità è la più debole delle quattro forze fondamentali che agiscono in natura. Per questo motivo per sperare di rilevarle è fondamentale che le sorgenti siano masse in movimento di dimensioni astronomiche, per esempio due buchi neri che collassano uno sull’altro.
Ma anche considerando di trovare l’avvenimento cercato, come “vedere” le onde generate da questo?
È a questo punto che entrano in gioco i due osservatori menzionati all’inizio. Come già detto, due oggetti massivi rotanti intorno ad un centro comune generano delle perturbazioni nel continuum spazio-tempo assimilabili a quelle formate da un frustino che ruota nella panna, del tipo cioè di onde meccaniche in un fluido; ed esattamente come queste, le onde gravitazionali tendono ad attenuarsi man mano che si allontanano dalla sorgente. Per riuscire perciò a captare queste perturbazioni così esigue occorre una strumentazione molto precisa: ora entra in gioco il laser.
I due osservatori di onde gravitazionali sono in realtà enormi interferometri a laser (quello americano ha due tunnel disposti a L della lunghezza di quattro chilometri ciascuno, mentre in quello italiano la lunghezza delle braccia vuote è di tre chilometri) in cui il fascio generato viene diviso in due rami e proiettato verso dei sensori posti all’inizio e alla fine di ogni braccio, tra i quali il raggio rimbalza per un dato numero di volte prima di essere proiettato verso un fotosensore che ne legge il tempo di percorrenza; in condizioni normali i due fasci solleciterebbero il sensore nello stesso determinato tempo, ma in presenza di una increspatura nella struttura dello spazio, uno dei due farebbe segnare un tempo diverso, ad indicare che in una direzione è avvenuta una distorsione spaziale.
“Ma perché proprio il laser?” Vi chiederete.
La risposta è molto semplice: queste distorsioni non sono come quelle mostrate nei film di fantascienza o in Serie/Cartoon/Anime di genere sci-fi, non succede mai che un palazzo o una zona vengano deformate visibilmente (a meno di non trovarsi molto prossimi alla sorgente, ma questo è un altro discorso…), anzi le variazioni di lunghezze sono dell’ordine di 10-23, che vuol dire 0,00000000000000000000001, che è come se un bastoncino lungo mille miliardi di miliardi di metri si accorciasse o si allungasse di appena 5 millimetri.
L’importanza di questa osservazione, fatta contemporaneamente sia da LIGO che da Virgo il 14 settembre 2015, alle 10:50:45 ora italiana ma pubblicati solo recentemente, dopo varie riprove, sulla rivista “Physical Review Letters“, consiste nel dare fondamento sperimentale all’ultima parte della teoria di Einstein ancora priva di riscontri reali, e rendendo così empiricamente provata l’intera relatività generale.
A modesta opinione dello scrivente, giunti a questo punto ci starebbe un riconoscimento alla memoria del grande Fisico, ma va considerato d’altronde che neanche Newton o Galilei ebbero appropriati riconoscimenti, neanche postumi, se non l’avere il loro proprio nome strettamente legato alle teorie da loro stessi sviluppate. Certo anche questa è una forma di immortalità, una traccia indelebile del loro passaggio in mezzo alle genti normali.
Tornando comunque all’argomento, una volta ottenuta notizia certa dell’esistenza di queste onde gravitazionali, si potranno usare queste stesse per poter indagare l’universo sotto un profilo non ancora considerato, e dato il profondo legame tra queste onde e la struttura dell’universo stesso, forse grazie a queste potremo spingerci a “vedere” lì dove nessuna luce ha mai potuto illuminare: il Big Bang, l’immane esplosione primordiale che diede origine al cosmo come lo conosciamo, dato che la luce e altre radiazioni iniziarono ad emergere solo 300.000 anni più tardi.
Sembra un po’ paradossale, ma le frontiere e le prospettive aperte dalle scienze in questi ultimi anni hanno del fantascientifico, anzi in molti casi superano la fantascienza di gran lunga; eppure ci sono state menti, tanto geniali quanto rare, che hanno saputo vedere, quando era impossibile anche solo immaginare, e trasmettere queste loro visioni a noi, regalandoci di fatto possibilità reali e futuribili, non solo di ricerca ma anche di sviluppo, che erano inconcepibili ai loro tempi.
Fonti:
LeScienze.it, il portale dell’edizione italiana di Scientific American;
Focus.it, il portale italiano della nota rivista di divulgazione scientifica;
Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Ti è piaciuto questo articolo? Dicci cosa ne pensi nei commenti qui sotto o esplora altri contenuti dal nostro menù!
Hai una storia da raccontare o un'opinione da condividere? Mandaci il tuo articolo scrivendoci a [email protected].
Vuoi unirti al nostro team e collaborare con noi? Scopri come candidarti alla pagina dedicata: collabora.