Questo è un indovinello: è il due agosto 1980, sono le 10 e 25 minuti. Qual è secondo voi il posto più affollato? Quel due agosto del 1980, qualcuno aveva trovato una risposta molto valida. La sala d’attesa della seconda classe della stazione di Bologna. E lì, proprio lì, alle 10 e 25 è esplosa una bomba. Ventitré chili di tritolo.
Morirono 85 persone, e 200 furono ferite, fisicamente e psicologicamente. Era l’Italia degli anni di piombo, l’Italia delle Brigate Rosse, l’Italia all’indomani del rapimento Moro. Oggi fatichiamo a immaginarcela, questa Italia, abituata alla paura e all’incertezza delle informazioni. Facciamo uno sforzo di fantasia: esplode una bomba, ma non abbiamo internet per avere subito notizie dall’Ansa; non abbiamo un cellulare, per provare a rintracciare quell’amico o quel parente che sappiamo essere in partenza o di ritorno dalle ferie e che avrebbe dovuto passare per Bologna. Dobbiamo essere a casa e con il televisore acceso, per poter vedere l’edizione straordinaria del Tg.
Gli autori della strage sono stati individuati nel Nar (Nuclei armati rivoluzionari), un gruppo terroristico di estrema destra, dopo una lunga vicenda giudiziaria.
La stazione di Bologna porta ancora su di sé i segni di quella terribile mattina, perché, come dice qualcuno, le cicatrici rendono più belli. Se sia più bella o no, rispetto a prima, è una domanda a cui ciascuno di noi può dare la propria risposta personale. Quello che è sicuro, però, è che è ricca della sua storia. L’orologio, simbolo di quella tragedia, è ancora fermo a quelle 10 e 25; lo squarcio causato dalla bomba è stato chiuso con del vetro, e su una parete sono elencati i nomi delle 85 vittime. Quello che fa rabbrividire, di quegli 85 nomi, di quelle 85 vittime, è notare quanto sia bassa l’età media: molti ventenni, molti bambini. Su tutti, spiccano i nomi di Maria Fresu, di tre anni, e sua madre, Angela Fresu, 24. Il loro cognome uguale racconta una storia di dolore e coraggio.
Poco meno di un anno dopo, il 31 luglio del 1981 Carmelo Bene, uno dei più grandi attori dell’epoca, dalla Torre degli Asinelli, regalò alla città la lectura dantis, recitando alcuni sonetti, e versi della Divina Commedia.
Come a voler ricordare, di fronte ai segni e alle prove della bassezza dell’uomo, quali vette quell’uomo sa raggiungere.
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