Non entrerò nel merito della “questione farmacologica”, né dirò cose del tipo “legalizziamola” o “meno droga e più case chiuse”, ma resterò in ambito ecologico (che come saprete ormai è il mio preferito) e vi narrerò di una vicenda che ci tocca da vicino, molto vicino e che merita a mio avviso attenzione (quantomeno più di Mark Caltagirone). Parliamo di Canapa…
Siamo negli anni ’30, in America, e leggenda narra (che poi leggenda non è, visti i documentari dell’epoca) che la canapa, una pianta che esiste e viene usata dall’uomo fin dalla notte dei tempi, trovasse mille usi diversi: come carburante, carta, legname per la costruzione, sostitutivo delle fibre sintetiche ecc..
I grandi magnati dell’industria, pochi lobbisti che detenevano la quasi totalità della ricchezza del paese e dei mercati, non gradendo affatto questa concorrenza che ne stava danneggiando i profitti, intrapresero un gioco mediatico, con l’aiuto di vari esponenti del Governo e dell’FBI, al fine di tracciare i macabri contorni di una pianta dai poteri allucinogeni e pericolosa socialmente, anche più dell’alcool, dando così il via ad un periodo di proibizionismo nell’uso e nella coltivazione della pianta soprattutto a livello industriale.
Ora, ripeto, non entrerò nel merito della legalizzazione o meno della canapa, ma questa signori è storia, e che la pianta dall’odore acre possa essere sfruttata in quasi ogni produzione, resta innegabile. Un po’ come quello che si dice del maiale: “non si butta via niente”.
La Canapa, l’eroina pugliese che non ti aspetti
Il signor Vincenzo Fornaro, coltivatore e proprietario dei terreni nella purtroppo famosa “terra dei fuochi”, in Puglia, è il protagonista della nostra storia. Egli ha infatti deciso di dare una seconda occasione alla tanto demonizzata cannabis (canapa per gli amici), tentando di scoprire quale altri segreti e benefici potesse nascondere la piantina ed usandola per bonificare i terreni che aveva perso per via dei metalli pesanti e le diossine di cui erano contaminati.
Si tratta di una particolare varietà di canapa francese, chiamata “Futura 75”, un incrocio di semi a bassissimo contenuto di thc (0,2%). Un progetto nato dall’idea di Andrea Carletti che potrebbe significare un nuovo inizio per la Puglia ed il settore agricolo mondiale.
Questa pianta, infatti, funziona come una sorta di pompa che assorbe dal terreno le sostanze inquinanti e i metalli pesanti, stoccandoli poi nelle foglie e nel fusto, un processo chiamato “fitodegradazione“, proprio non solo della canapa ma anche di altre piante erbacee.
Un ulteriore vantaggio della coltivazione della canapa è che la pianta, oltre che per bonificare i terreni, può essere impiegata successivamente per altri usi, come la bioedilizia e la produzione di olio. Un processo di purificazione del suolo in cui nulla va insomma perduto.
Il processo viene spiegato anche da Angelo Massacci, direttore dell’Istituto di biologia agro-ambientale e forestale del Cnr di Porano. Secondo Massacci:
Le piante hanno evoluto efficienti sistemi di difesa e tolleranza verso gli inquinanti del suolo. Alcune specie vegetali, dette “escludenti”, riescono a evitare l’effetto tossico dei metalli pesanti in eccesso, preservano i frutti e le parti edibili ed eliminano il rischio di diffusione nella catena alimentare. Altre, definite “iperaccumulatrici”, sono invece capaci di assorbire e immagazzinare nei propri tessuti quantità di metalli pesanti da decine a migliaia di volte superiori a quelle tollerate da altri organismi
Nel 2008, l’allevatore tarantino era stato costretto ad abbattere duemila pecore a causa della contaminazione da diossina generata probabilmente dal vicino polo industriale. Un’intera e secolare attività annientata dall’inquinamento.
Nonostante tutto, Vincenzo non si è dato per vinto ed ha deciso di tentare una via poco conosciuta ed ancora sperimentale, destinando tre ettari del suo terreno alla coltivazione della pianta.
L’unico dubbio che rimane è solo quello legato alle condizioni a cui il terreno va incontro durante i mesi più caldi, soprattutto nelle zone del Sud Italia, dove la siccità colpisce ferocemente i terreni nei mesi estivi.
Questo infatti, potrebbe condizionare l’umidità del terreno, prerogativa essenziale per la crescita delle piante di canapa. Per chi è preoccupato di un pericolo derivante dalle sostanze psicotrope contenute nella canapa, va detto che il principio attivo Thc è presente in percentuale bassissima.
La stessa strada poi è stata percorsa anche da altri allevatori della provincia di Brindisi, le cui terre sorgono nei pressi del parco naturale Punta della Contessa, zona ad altissimo tasso di inquinamento ambientale. Qui, Tommaso Picella, 70 anni, e il nipote 34enne Andrea Sylos Calò, hanno deciso di convertire la propria attività in piantagione di canapa destinata alla creazione di fibre tessili o all’edilizia. Una scelta fatta per evitare la morte di una terra la cui contaminazione ha reso inservibile a scopo alimentare.
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