Negli ultimi anni, i sistemi di autenticazione basati sul riconoscimento facciale sono diventati il modo più popolare per sbloccare gli smartphone. Esistono due diversi metodi di riconoscimento facciale e si distinguono per complessità e affidabilità. Il primo, il più diffuso, è il semplice riconoscimento facciale tramite la fotocamera frontale del telefono. È un metodo economico e lo si può facilmente ingannare con una buona fotografia. Il secondo, invece, si avvale di LED a infrarossi, che lavorano sul “modello tridimensionale del viso” e non sulla sua immagine.
Ed è proprio a tal proposito che, da tempo, si susseguono indiscrezioni secondo cui il team di Google sia al lavoro su una nuova versione del sistema di sblocco con viso per i suoi smartphone-Pixel. Fantascienza? Scienza futuristica? A quanto pare, no.
Infatti, una sorta di conferma su questi “esperimenti”, arriva da uno dei membri dello staff della Webzine ZDNet, un ingegnere newyorkese, il quale sarebbe stato fermato per strada da un dipendente Google. Inizialmente scambiato per uno degli adepti di Scientology, ha dovuto fornire un vero e proprio modulo per il trattamento dei dati personali per risultare credibile, seguito, po
i, dal pezzo forte: uno smartphone nascosto all’interno di una custodia protettiva, con il quale l’uomo non avrebbe dovuto far altro che scattarsi dei selfie da diverse angolature. Purtroppo l’ingegnere non è stato in grado di stabilire se si trattasse di un prototipo di Google Pixel 4 o di qualche modello precedente ma il team Google ha chiarito che stava “solo”raccogliendo dei dati per migliorare la prossima generazione di sblocco del telefono con riconoscimento facciale.
La ricompensa? Il dipendente Google ha offerto in cambio una carta regalo dal valore di 5 dollari per Amazon o Starbucks. Si può dire, quindi, che la persona abbia venduto la sua faccia per 5 dollari! Non si sa quanti siano i team impegnati a raccogliere tali dati in giro per il mondo ma, probabilmente, Google sfrutterà i volti “raccolti per strada” per addestrare la sua rete a riconoscere meglio i tratti somatici delle persone, potenziando così il suo sistema di riconoscimento facciale per quelli che saranno (presumibilmente) i prossimi modelli di Google Pixel.
Come l’ingegnere spenderà la sua faraonica gift card da 5 dollari ricevuta in cambio di alcuni scatti, non è dato sapere. Di certo, non per un Mocha Frappuccino che, negli Starbucks nei dintorni di Central Park, costa più o meno 5,25 dollari. Più del valore delle foto della sua faccia. E non potrà neanche permettersi un Big Mac a Manhattan, il quale costa ben 5,58 dollari. Ma, anche in questo caso, il volto di chi lo acquista vale meno del famoso panino.
Come si suol dire, alla fine della fiera, ciò che resta è una domanda, frutto di una riflessione che chiunque, con un minimo di senso di critica, abbia fatto almeno una volta da quando gli smartphone sono diventati parte integrante della vita di tutti noi: quella di cui si parla, è una tecnologia che, a fronte di alcuni benefici, possa davvero essere barattata a discapito di privacy e libertà? E, anche ammesso che la risposta fosse affermativa, l’irrisoria somma di 5 dollari come può non essere considerata un’offesa? George, l’ingegnere che si è prestato a questa “vendita del volto”, ha risposto a suo modo alla domanda, affermando che:
Google fondamentalmente ha già tutta la mia vita sui loro server. E rimuovere Google dalla mia vita non può accadere da un punto di vista pratico. Non mi interessa molto la privacy dei dati, perché penso sia comunque tutta un’illusione
E voi, invece? La pensate come George? Vendereste mai il vostro volto per un buono dal valore di 5 dollari?
Paola.
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