Fukushima: acque radioattive della centrale verranno liberate in mare

A otto anni dal disastro, le difficoltà nella bonifica; ma è davvero il caso di allarmarsi?

Quasi a nove anni dal disastro nucleare di Fukushima si stanno verificando dei problemi nella gestione delle scorie.

In particolare, la società che gestisce l’impianto ha dichiarato che non saranno in grado di immagazzinare tutta l’acqua radioattiva da qui a tre anni.

Il governo giapponese e tutto il mondo è preoccupato per trovare una soluzione a questa emergenza. Ma è davvero un’eventualità rischiosa?

Cosa è successo a Fukushima?

Torniamo indietro all’undici marzo del 2011. Un terremoto di magnitudo 9 colpì il Giappone e causò uno degli tsunami più catastrofici della storia.

Questa calamità naturale si scagliò sulla centrale nucleare di Fukushima compromettendo il sistema elettrico, senza il quale sono stati resi inutili i reattori. In assenza del ricircolo dell’acqua di riscaldamento, i noccioli raggiunsero temperature stratosferiche e si fusero, liberando così gas di idrogeno.

Da qui l’esplosione che distrusse quattro dei sei edifici in cui erano situati i reattori, e la conseguente diffusione di enormi quantità di materiale radioattivo.

Gli effetti di quegli istanti si vedono ancora oggi e in molti (tra cui GreenPeace Giappone) credono che il governo giapponese non stia facendo il suo meglio nel gestire questa emergenza e le sue conseguenze.

E adesso l’acqua?

L’acqua è stata depurata ma è ancora leggermente radioattiva. In questo momento è immagazzinata in oltre 1000 grandi serbatoi che contengono 1 milione di tonnellate di acqua.

La Tokyo Electric Power Co. (TEPCO), che gestisce l’impianto, ha dichiarato che costruirà più serbatoi, ma può ospitare solo ulteriori 1,37 milioni di tonnellate, un livello che sarà raggiunto entro l’estate del 2022.

Probabili soluzioni all’acqua radioattiva di Fukushima

Il governo giapponese non ha ancora stabilito come smaltire il contenuto dei serbatoi di Fukushima, per questo nella giornata di venerdì ha convocato una commissione per risolvere questo problema.

Qui sono state individuate cinque alternative e i vari esperti propongono come opzione più realistica il rilascio controllato nell’Oceano Pacifico.

Ovvia è l’opposizione dei pescatori e degli abitanti del luogo. Le perdite per la pesca e l’agricoltura del luogo sarebbero enormi.

Tra le altre opzioni prese in considerazione vi sono l’iniezione sotterranea, la vaporizzazione e solo infine lo stoccaggio a lungo termine.

Secondo gli esperti, i serbatoi sono molto instabili e potrebbero portare ulteriori radiazioni o inondazioni. In ogni caso si tratta di operazioni complesse, rischiose e ancora più costose.

Per adesso la TEPCO e il governo giapponese hanno in programma di rimuovere le altre scorie di Fukushima soltanto nel 2021 e vogliono liberare parte del complesso attuale per costruire strutture di stoccaggio sicure per detriti fusi e altri contaminanti.

Anche se l’acqua dovrà essere lasciata in queste strutture per 123 anni, un periodo di tempo sufficiente a ridurne la radioattività a un millesimo di quella attuale.

Un altro parere sulla bonifica di Fukushima

Nonostante i danni deducibili nell’immediato, c’è chi sostiene che un’irradiazione delle acque nel mare potrebbe essere la soluzione più giusta se l’operazione fosse “controllata”, cioè diluendo il rilascio.

C’è una distinzione, infatti, da fare su acque radioattive e “acque inquinate”; la radioattività è un fenomeno naturale, è la conseguenza del decadimento di elementi instabili che cercano di diventare (più) stabili.

La radioattività è presente ovunque, in quanto in ogni luogo della Terra esistono isotopi radioattivi. Questi isotopi creano quello che si chiama “fondo naturale”, che in alcune zone è più intenso che in altre.

La pericolosità delle radiazioni ionizzanti dipende dall’intensità, ovvero da quante particelle vengono emesse da questi elementi nell’unità di tempo e dalla superficie colpita.

A titolo di esempio, ogni minuto, seduti tranquillamente in poltrona a casa nostra, siamo attraversati da un centinaio di particelle alfa o beta, senza contare i raggi gamma.

Queste radiazioni vengono emesse in genere dal suolo, dal quale si sprigiona il radon, gas radioattivo che sembra essere la causa principale dei tumori ai polmoni.

Quindi, le conseguenze dello sversamento di acqua contenente particelle radioattive in mare sarebbero, sul medio-lungo termine, nulle. In quanto la diluizione di queste particelle renderà indistinguibile l’intensità delle radiazioni emesse da quelle del fondo naturale.

Nell’immediato dipende dall’effettiva irradiazione. Le conseguenze sono alterazioni genetiche, quindi la fauna e la flora marina potrebbe avere problemi a riprodursi, e gli esemplari a diretto contatto con le singole particelle potrebbero subire danni che portano al decesso.

Considerando livelli di diluizione molto bassi, c’è da ritenere che i danni possano manifestarsi sporadicamente se non molto improbabili (si ringrazia Luca Calcinai, tecnico elettronico biomedicale, che ha provveduto a un confronto sul tema).

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Grazia Margarella

Studio Informatica presso l'Università degli Studi di Salerno e condivido le mie passioni per la scienza, il cinema, i libri e la cultura nerd grazie ai ragazzi de Il Bosone. Il mio motto è: Ad astra per aspera, exploro semper. Stay tuned ⚛️
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