Serie Chernobyl: tra fiction e reale, ecco le controversie nate per e dallo show

Una riflessione sul caso e sul sottotesto della serie tv

Chernobyl, la serie, è ormai entrata nella storia come la produzione europea Sky più vista di sempre: ben 600 mila spettatori per il finale della stagione. I commenti sono stati quasi tutti positivi, entusiasti per i livelli raggiunti nella recitazione e nella regia.

Come sempre, con argomenti di questo genere, la serie tv ha avuto anche il “pregio” di riscuotere un interesse anche dal punto di vista storico per ciò che realmente fu il disastro nucleare (per saperne di più, trovate tutto “sull’errore umano” in questo articolo).

Infatti, la storia è narrata talmente bene, il trucco dei corpi ustionati dalle radiazioni è talmente curato nei particolari che, a volte, visionando gli episodi si è avuto come l’impressione che non si trattasse più di una tragedia accaduta per davvero bensì di una raccapricciante storia dell’orrore.

Come la Serie di Chernobyl si intreccia nella realtà

Eppure, nulla è stato inventato. Nulla è stato ingigantito. La conferma di ciò viene dalle innumerevoli testimonianze di chi c’era, di chi ha subito ciò che nessun essere umano dovrebbe subire e di chi è stato lì, in prima linea, pronto a cercare di porre rimedio ad un errore che tanto sapeva di guerra, fanatismo e paura.

chernobyl serie

Nagashibay Zhusupov

Fra quest’ultimi, fra coloro che hanno cercato di limitare i danni del disastro, i cosiddetti “liquidatori”del reattore nucleare di Chernobyl, c’era un uomo di nome Nagashibay Zhusupov il quale, a detta della figlia 25enne, si è suicidato dopo aver visto la serie tv della Hbo.

Il caso

Aveva 61 anni ma, per il suo immenso sacrificio, nessuno l’aveva onorato nel modo in cui avrebbe meritato. Semplicemente perché era caduto nel dimenticatoio.

Viveva in un dormitorio con la sua famiglia e la serie tv avrebbe riacceso in lui il dolore per l’onta, la vergogna e l’ingiustizia di vedersi negato persino quell’alloggio popolare previsto per tutti gli altri veterani.

L’uomo, che a giugno scorso è precipitato dal quinto piano di un edificio ad Aktobe in Kazakistan, secondo la figlia Gaukhar, si sarebbe tolto la vita dopo avere guardato la serie Hbo «con le lacrime agli occhi».

chernobylUn episodio terribile, agghiacciante, ma che può essere usato per riflettere anche quando si è già avuto l’impressione di aver detto tutto.

Perché, in questi casi, le parole non sono mai abbastanza. Non vi parlerò delle colpe (se questo è il termine corretto) dello Stato, niente sulla politica o la guerra.

Il turismo nero

Senza dubbio uno spiacevole fenomeno, per esempio, è quello del cosiddetto Turismo Nero attratto proprio nei luoghi che hanno fatto da scenario per lo show televisivo.

Mentre non si bada al fatto che i posti della tragedia sono reali, però, le masse di curiosi ma soprattutto di sedicenti influencer a caccia di notorietà, sono sedotti dall’occasione di cavalcare l’onda mediatica della fiction di HBO, varcando di fatto i luoghi che persino oggi sono segnati dalla vicenda nucleare.

E’ vero, è sconsigliato visitare Pripyat per la “situazione radioattiva”. Secondo degli studi condotti dall’Università di Bristol, per inciso, non da cenni di miglioramento, se non il contrario. Ed è altrettanto vero che i visitatori stanno oltrepassando non solo un confine di pericolo ma anche e soprattutto un confine etico. Pare non si badi al fatto che qui, siano morte delle persone e che la popolarità della serie Chernobyl, non sia dovuta all’eco della tragedia.

Questa vicenda ha aggiunto non poche discussioni al già controverso sovrapporsi di discussioni dal telefilm al reale e merita senza dubbio degli approfondimenti (che in caso specifico, per quel che riguarda il Turismo Nero, potete trovarli direttamente in questo nostro articolo).

Una riflessione generale sulla serie di Chernobyl

Piuttosto vorrei concentrarmi su quel “non detto” che è la serie tv Chernobyl. Perché di prodotti di qualità, soprattutto negli ultimi anni, siamo letteralmente circondati e la concorrenza è spietata ma, quando si crea una cosa del genere, allora si va ben oltre il concetto di ben fatto.

Raccontare una tremenda verità, farlo senza paura, descrivendola per quello che è stata e riuscire, allo stesso tempo, a creare un tale seguito con soli 5 episodi, è qualcosa di straordinario.

Al giorno d’oggi si cerca sempre il di più, l’impressionante che non ci deve far staccare gli occhi dallo schermo e, per far ciò, i registi adoperano decine di episodi, intere stagioni, massicce pubblicità e spoiler strategici nel web.

La discrezione di Chernobyl, invece, è stata proprio nel suo silenzio, nel suo modo umile di ricordare a chi l’aveva studiato come un trafiletto in calce alla pagina di un libro di scuola che, simili tragedie, non vanno solo lette, ma sentite, condivise e discusse.

Non ci sarà una seconda stagione, non ci saranno meme sugli attori perché, quanto visto, basta a solcare nel cuore di tutti quel senso di colpa per non aver mai pensato a chi si è sacrificato in nome di qualcosa che noi, dalla nostra beneamata culla fatta di libertà e dolcezze, non possiamo neanche lontanamente immaginare.

Chernobyl è riconoscenza, è voler scuotere le menti dei più giovani, è voler ricordare a tutti che la vita non è solo biologia, ma anche sacrificio, lotta e amore incondizionato, che sia esso per un Paese, per un uomo o per un cane.

Parliamone, allora, e non stanchiamoci mai di farlo. Con gli amici, con i parenti, con i propri genitori. Parliamo del disastro nucleare, di ciò che è costato in termini umanitari ed economici, di quanto ancora oggi mieta vittime in modo silente, senza che noi possiamo far nulla per impedirlo.

Proprio così, noi non abbiamo alcun potere se non la capacità di ricordare e di onorare la nostra vita come il frutto del sacrificio di persone come Nagashibay.

Perché Chernobyl ci ha insegnato proprio questo: a non tenere la bocca chiusa, a parlare per rivendicare la dignità dell’individuo, a studiare per mettere il proprio sapere a disposizione di un bene che prescinde dal nostro interesse personale.

Probabilmente, se avessimo imparato a farlo prima, Nagashibay sarebbe ancora vivo e, il suo dolore, non sarebbe stato solo suo ma, anche, quello di tutti noi.

Paola.

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