Come annunciato dal cinguettio della casa d’aste Christie’s, il 25 ottobre è stato venduto – per la modica cifra di 432,500 dollari – il primo quadro realizzato da un’intelligenza artificiale progettata da un collettivo artistico francese. Il suo nome? Obvious.
Il quadro di Obvious: Edmond Bellamy
Il valore iniziale del quadro, “Ritratto di Edmond de Bellamy”, era compreso inizialmente tra i sette e i diecimila dollari ma l’anonimo acquirente può dirsi il primo a possedere un pezzetto di futuro. Quest’opera non sarà sicuramente come quella di un pittore contemporaneo italiano ma è parte integrante di una serie di undici stampe uniche realizzate da Obvious che rappresentano i diversi componenti dell’immaginaria famiglia Bellamy, battezzata appunto La Famille de Bellamy.
L’algoritmo utilizzato è di tipo GAN (Generative Adversarial Network), ossia una Rete Antagonista Generativa. Questa classe di algoritmi è utilizzata nell’apprendimento automatico non supervisionato che implementa due reti neurali che si “sfidano” l’una con l’altra, scambiandosi feedback continui per migliorare. Strumenti già utilizzati nella realizzazione di video fasulli oppure nella programmazione di videogiochi. In questo caso abbiamo da un lato una rete che realizza immagini, e sull’altro una in grado di riconoscere se un quadro è di produzione umana o digitale. Entrambe si basano su un database di partenza estremamente ampio che contiene decine di migliaia di opere preesistenti.
L’obiettivo di questi algoritmi è dunque quello di verificare se questi possano essere creativi ed indipendenti dal loro programmatore (aspetto che abbiamo già trattato qui con AlphaGo). Ma è inevitabile riflettere non solo sull’aspetto tecnico, ma anche su quanto sia influente, anche in termini di denaro, l’intelligenza artificiale e lo sviluppo tecnologico sul nostro mondo e sulla nostra cultura.
L’idea che le macchine possano creare arte: “solleva l’intrigante concetto secondo cui gli algoritmi di AI non solo creano immagini, ma tendono a modellare la Storia dell’Arte – come se il lungo progresso dell’arte dal figurativo all’astratto fosse parte di un programma in esecuzione nell’inconscio collettivo, e tutta la storia della nostra cultura visiva fosse un’inevitabilità matematica”.
– Jonathan Bastable sul sito di Christie’s
Intelligenza Artificiale e Arte
Questo non è però il primo incontro tra arte e tecnologia. Un caso che stupì molto nel 2016 è quello del The Next Rembrandt, ossia di un dipinto inedito dell’artista di Leida, realizzato però da un algoritmo che analizzò tutti i ritratti per prenderne gli aspetti stilistici più caratteristici.
Inoltre ci si è spesso chiesti come si osservi l’arte e le sue più grandi manifestazioni. Come nel caso di Ahmed Elgammal e Babak Saleh, due ricercatori della Rutgers University, i quali hanno insegnato ad un computer come guardare e analizzare dipinti allo stesso modo in cui lo farebbe uno storico dell’arte. Analizzando dunque la composizione, lo stile, l’utilizzo del colore e delle tecniche pittoriche, trovando connessioni, analogie e differenze.
Ma si possono dunque definire creative le intelligenze artificiali e i computer? Il test di Ada Lovelace
Questa domanda ce la stiamo ponendo da oltre 170 anni. In particolare nel 1843, Ada Lovelace, matematica inglese considerata come la prima programmatrice al mondo, scrisse che una macchina non potrà avere intelligenza umana fino a quando continuerà a fare solo ciò per cui l’uomo l’ha intenzionalmente programmata.
Dunque, secondo la Lovelace, una macchina dovrebbe essere in grado di creare prodotti originali, per essere considerata intelligente. Il test della Lovelace, formalizzato nel 2001, nonostante sia più un esperimento mentale che un test oggettivo, è un modo per approfondire quest’idea. Una macchina può superare il test se riesce a produrre un esito che il suo programmatore non può spiegare basandosi sul codice originario.
Conclusioni
Fino ad ora non abbiamo raggiunto grandissimi risultati, ma si stanno ponendo le basi per il futuro della creatività e dell’arte. Ed in definitiva, se un’opera riesce a trasmettere un’emozione, una sensazione o un brivido a chi la sta guardando, importa molto chi l’abbia creata?
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