È di poche ore fa la notizia della morte di Chris Cornell, cinquantaduenne cantante dei Soundgarden e degli Audioslave, e una delle più belle e intense voci del rock. Si è ucciso impiccandosi nel bagno della stanza del MGM Grand Casino Hotel a Detroit, pochissimo tempo dopo essersi esibito con la sua storica band.
Viene da domandarsi cosa spinga un artista affermato, un uomo, marito e padre a togliersi la vita, immediatamente dopo aver incantato il pubblico, quando l’adrenalina del concerto, il calore dei fan, la soddisfazione di quanto fatto su quel palco dovrebbero mandarti su di giri, e non verso il fondo del baratro.
Cosa c’era davvero dietro il Chris Cornell pubblico, dietro il cantante dalla voce potente, ruvida e graffiante? Cosa si nascondeva dietro il frontman di una delle band più famose del panorama grunge internazionale? Quanto c’era del Chris uomo nei testi delle sue canzoni, spesso così oscure e angoscianti?
On a cobweb afternoon
In a room full of emptiness
By a freeway I confess
I was lost in the pages
Of a book full of death
Reading how we’ll die alone
And if we’re good, we’ll lay to rest
Anywhere we want to go
Possiamo forse definirla la maledizione dei grandi artisti: troppo sensibili e tormentati per riuscire a condurre una vita mediocre, destinati ad emergere, a distinguersi, ma incapaci di sopportare il peso che la notorietà porta con sé.
Chris Cornell come Kurt Cobain
Il paragone è forse troppo facile, troppo abusato, ma è impossibile non individuare un fil rouge che lega le vite di questi due artisti.
Li lega l’età anagrafica, l’uno nato nel 1964, l’altro nel 1967; un’esistenza fatta di continua lotta alla depressione, dovuta ad un’infanzia infelice, al divorzio dei genitori, dalla quale sembrano affrancarsi nell’adolescenza grazie all’amore per la musica e alla formazione delle prime band; li lega la musica grunge, questo mix di rock, metal e punk, ruvido, essenziale, “sporco” che ben si adatta a queste personalità tormentate, complicate, arrabbiate con la vita e con il mondo; li lega anche la città di Seattle, dove entrambi trovano il successo con le loro band all’inizio degli anni novanta; Soundgarden e Nirvana, con Pearl Jam e gli Alice in Chains.
Cobain ha rinunciato a tutto molto presto, ormai vent’anni fa; Chris lo ha fatto la scorsa notte. Come un macabro scherzo del destino anche Layne Staley, cantante degli Alice in Chains, è morto nel 2002, per overdose.
Addio ad un grande artista
Quello che è certo è che la musica ha perso un grande artista, un cantante appassionato e appassionante, dalla voce di una potenza e di una estensione straordinarie, una personalità che ha scritto grandi pagine della storia del rock degli ultimi tre decenni.
I Soundgarden sono stati infatti il primo gruppo della scena grunge di Seattle a firmare un contratto con una major, la A&M Record, nel 1989, ottenendo un successo planetario con singoli come “Black Hole Sun” e “Pretty Noose”.
E anche quando il gruppo si è sciolto nel 1997, Chris non è rimasto con le mani in mano, ma con gli ex membri dei Rage Against The Machine orfani del cantante Zack de La Rocha, ha fondato gli Audioslave; con loro pubblica tre album; ricordiamo il singolo Show me how to live e la bellissima, struggente Like a Stone.
Nel 2006 Cornell ha composto You Know My Name, colonna sonora del film Casino Royale, per la quale aveva ricevuto una nomination ai Grammy nel 2008. Tra le altre collaborazioni ricordiamo quella con Carlos Santana in Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, dove Chris dà prova di tutte le sue doti canore, con una interpretazione potente, graffiante come solo la sua voce sapeva essere. Nel 2010 ha riunito i Soundgarden che si impongono di nuovo firmando con Live to Rise la colonna sonora del film The Avengers.
Chris lascia una moglie e tre figli; il nostro pensiero va anche, e soprattutto, a loro.
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