Negli ultimi giorni si è tornati a parlare della serie Boris, un cult dei primi anni 2000, che su Fox Italia raccontava le vicissitudini di una troupe televisiva alle prese con la realizzazione di una fiction per la televisione generalista. Questo a causa della morte a soli 47 anni di uno degli autori di quella serie, Mattia Torre, che nella sua carriera, non solo con Boris, ci ha raccontato noi stessi attraverso il grottesco di certi personaggi e la nostra epoca attraverso gli scontri umani tra questi ultimi, comicamente e malinconicamente simili allo scontro che ogni giorno vediamo avverarsi nella società.
Cos’è stata Boris?
Boris è diventata una serie di culto per un gigantesco stuolo di fan in tutta Italia e il fenomeno è diventato a dir poco virale con l’avvento dei social network, che hanno continuato a diffondere il verbo dei suoi personaggi attraverso meme, rielaborazioni e omaggi. Chiunque abbia visto anche solo qualche puntata e incontri per strada un altro fan non riesce a resistere nel fare una citazione, nel parafrasare qualche battuta, e poche altre opere hanno avuto un impatto tanto forte sui suoi spettatori.
I personaggi più amati sono senza dubbio il regista de “Occhi del Cuore” Renè Ferretti (Francesco Pannofino), l’attore protagonista Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) e lo stagista Alessandro (Alessandro Tiberi), ma ogni singolo personaggio secondario ha avuto una potenza narrativa talmente forte da restare indelebile nella memoria degli spettatori. Questo anche grazie al ruolo dei tre sceneggiatori della serie Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che con grande autoironia e geniale cinismo hanno deciso di inserire se stessi trai personaggi creando il ruolo dei tre sceneggiatori senza nome (Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo, Andrea Sartoretti) che hanno tessuto le fila della vita e della morte di ciascuno dei personaggi e della fiction stessa.
Tre stagioni e un film uno più potente dell’altro in cui non si sprecano critiche feroci al mondo dell’intrattenimento e dell’arte, della politica e del lavoro, dove chi critica l’essere “troppo italiani”, poi incarna tutti i cliché, i vizi e i difetti di questo popolo. I giovani rassegnati ai sotterfugi burocratici di vecchi insensibili e omologati, le esasperazioni del mondo della comunicazione, in cui il potere politico detta regole di mediocrità, per rassicurare l’elettorato. L’unica minuscola salvezza sta proprio nell’essere italiani, con la tendenza a ridicolizzare i propri drammi e le proprie tragedie, per riuscire a sopportare il peso di problemi che schiaccerebbero chiunque altro.
Mattia Torre oltre Boris
L’autore e scrittore romano ha contribuito alla creazione di Boris che resta la sua opera più celebre e divertente, ma chi volesse riscoprire la potenza narrativa e ironica di Mattia Torre ha a disposizione molti altri lavori.
Il suo primo film, in cui oltre alla sceneggiatura interpreta anche un piccolo ruolo è “Piovono Mucche” del 2002, in cui appaiono molti attori del cast di Boris, ma scrisse anche la commedia natalizia “Ogni maledetto Natale” del 2014 e “Il Grande Salto” del 2019. Anche al teatro ha lasciato un piccolo cult intitolato 456 e in TV vi consigliamo di recuperare la serie interpretata dall’amico Corrado Guzanti “Dov’è Mario?”,ma soprattutto “La linea Verticale” dove Torre ha raccontato la sua malattia da un punto di vista ironico, ma questa volta anche poetico.
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