Alias Grace, un nuovo piccolo capolavoro targato Netflix

Se c’è una cosa di cui possiamo essere certi è che Netflix riesce (quasi) sempre ad estrarre dal cilindro contenuti di una qualità strabiliante.

È il caso della miniserie Alias Grace, rilasciata il 3 novembre scorso, e tratta da un romanzo di Margaret Atwood del 1996.

Già, perché il 2017 non è stato solo l’anno di Stephen King, ma anche, e soprattutto, della Atwood e delle sue figure femminili; l’autrice canadese che ha visto portati sul piccolo schermo ben due suoi lavori: prima The Handmade’s Tale, che ha letteralmente sbancato agli Emmy, e adesso Alias Grace.

La storia di Grace

La serie racconta la vicenda (vera per altro) della giovanissima Grace Marks, che nel 1843 fu accusata ed incarcerata per l’omicidio del suo datore di lavoro Thomas Kinnear e della governante Nancy Montgomery. Insieme a lei fu accusato anche James McDermott che fu impiccato, mentre Grace fu inizialmente rinchiusa in manicomio e poi in carcere.

La storia inizia quindici anni dopo gli omicidi, quando il dottor Simon Jordan viene incaricato di tracciare un profilo psicologico ante litteram della Marks, nel tentativo di stabilire se fosse innocente o colpevole. Questo perché durante il processo fu molto difficile stabilire se la donna fosse realmente colpevole degli omicidi o se fosse stata accusata ingiustamente.

Alias Grace si presta a molteplici piani di lettura; è un thriller psicologico, un noir ambientato nel 1800, dove il racconto della vita di Grace sembra avere come unico scopo stabilire, una volta per tutte, l’innocenza o la colpevolezza della donna. Ma in realtà il racconto a ritroso serve a delineare un mondo, quello del 1800, non particolarmente benevolo nei confronti della figura femminile; soprattutto se questa non è ricca o di buona famiglia.

Grace è una immigrata irlandese, povera, costretta dalla vita a sopportare continui soprusi da parte degli uomini; prima il padre, unica figura genitoriale dopo la morte della madre, alcolizzato e violento; poi il figlio del suo datore di lavoro; quindi, forse, Kinnear e McDermott. Una società violenta sotto la superficie fatta di pizzi e merletti, dove la donna viene repressa in un ambiente dominato dagli uomini, dove persino l’avvocato difensore di Grace afferma di essersi lasciato incantare da Grace, dalla sua bellezza e dal carattere così poco sottomesso.

“Sarebbe un grande avvocato, se solo fosse uomo”

Da questo malessere costantemente soffocato, l’unica via di uscita non sembra che essere la violenza e quindi la fuga.

Ma è davvero così?

Grace è realmente una vittima delle circostanze o ce lo vuole fare credere? Sconvolta dalla condizione sua e delle altre donne che la circondano ha veramente subito un crollo psichico, oppure è un’abilissima manipolatrice? Non lo sappiamo e non lo sapremo con certezza alla fine della serie, perché lo spettatore in questo caso non è onnisciente.

Il punto di vista dal quale è narrata la vicenda è quello del dottor Jordan, che ascolta rapito il racconto di Grace, la quale misura abilmente ogni singola parola pronunciata, e risponde agli interrogativi con logica inoppugnabile. Innocente o magistrale commediante? Vittima lei stessa o carnefice? Alla fine forse non conta davvero, perché la verità, forse, sta proprio nel mezzo, in quella zona d’ombra che la mente di Grace ha (forse) rimosso e sulla quale il dottor Jordan vuole fare luce senza per altro riuscirci mai.

Tanti, troppi forse che non avranno una risposta certa in Alias Grace…

Magistrale in questo senso l’interpretazione di Sarah Gadon, che riesce a dare al viso di Grace e ai suoi occhi eternamente spalancati una totale mancanza di espressività nella quale ognuno può leggere ciò che preferisce.

Emergono anche le interpretazioni di Anna Paquin, interprete di Nancy Montgomery, Edward Holcroft (Simon Jordan) e Zachary Levi (Jeremiah)

E strepitose sono anche regia e fotografia, che fanno dei simboli la rete su cui poggia tutto l’impianto visivo delle sei puntate. Tutto curato nei minimi dettagli, senza un graffio, una sbavatura o una caduta di stile.

Un piccolo capolavoro di qualità eccezionale, che sarà difficile non vedere tutto d’un fiato.

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