Arrow, riscatto finale

In America è già finita, ma fra un mesetto lo sarà anche in Italia. Stiamo parlando della seconda stagione di Arrow, che chiude con il botto.

robinhood

(Dai, ci siamo andati vicino…)

 

DI SEGUITO L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER – SE NON SI È VISTO IL FINALE SCONSIGLIAMO LA LETTURA
Ma noi ovviamente speriamo che continuiate a leggere, altrimenti che abbiamo scritto a fare?

A nostro parere, parlare di “episodio finale” sarebbe riduttivo. È un finale lungo, che lega almeno gli ultimi tre episodi. Rivedendoli tutti assieme si ha proprio l’impressione di una specie di lungo episodio diviso in parti, una “lunga partita”. Tutto parte, a dire il vero, dal finale dell’episodio 20, “Seeing Red”. Sembra andare tutto da copione, immerso nei cliché come gran parte di questa seconda stagione è stata: tutti seduti nella limousine, Moira sta per dire a tutti che Malcom Merlyn è ancora vivo e, come da programma, nel momento in cui sta per rivelare il gran segreto… BOOM! Incidente automobilistico e rivelazione shock stoppata sul più bello. Roba che neanche gli sceneggiatori di Boris.

 

E invece, subito dopo, colpo di scena: la morte di Moira Queen. Nel momento in cui Oliver viene costretto alla nuova scelta, uno sceneggiatore normale avrebbe ripreso il segreto shock stoppato poco prima: Thea è in pericolo? Bene, facciamo apparire adesso Malcom. E invece no: nella quartultima puntata accade qualcosa che in genere viene tenuta per il finale di stagione, cioè la morte di un personaggio importante (come era accaduto, per esempio, nel finale della terza stagione di Chuck). Ecco, da quel momento in poi la serie, che aveva sonnecchiato fino ad allora, cambia completamente registro. Non ci sarà, nei tre episodi successivi, un momento di pausa. Gli avvenimenti si influenzeranno a stretto giro di puntata in puntata. Per questo diciamo che questo finale è un’opera organica spalmata su più puntate.

Ci sono delle criticità, è ovvio. Ad esempio, gli sceneggiatori proprio non hanno resistito a fare l’impepata de’ cozze.

(Grazie ancora agli sceneggiatori di Boris)

Ovvero, non hanno resistito alla tentazione di dover usare tutti i personaggi apparsi in questa stagione (e non solo), pure se inutili ai fini della trama, anche solo di quattro inquadrature (la Squadra Suicida ad esempio? Ce n’era davvero bisogno? La trama non filava lo stesso anche senza?)
Ecco, la trama. Ha qualche buco. Uno su tutti: ma Sebastian Blood come ha fatto ad uscirsene sulle sue gambe con la valigetta della cura se Isabel e Slade gli stavano accanto? Mah… Poi, come fanno Sarah prima e Malcom poi a conoscere l’esatta ubicazione della gente che devono salvare? Infine, il cliché dei cliché: città in stato di guerra, la gente muore ad ogni centimetro, ma sei un eroe solo se salvi un bimbo da un palazzo in fiamme. Solo dopo quel gesto puoi scriverti sulla carta d’identità, alla voce Professione, “Supereroe”. Sembra una scena già vista, a dire il vero. Giusto, amichevole Spiderman?

(Giusto!)

(Avevo già capito la prima volta… ma grazie.)

Ciò che salva definitivamente il lungo finale di Arrow è il fatto che è apertissimo: la serie si stava arrotolando su se stessa: intrighi familiari alla Beautiful, Tizio che mente a Caio che mente a Sempronio che mente a Tizio, tutti che hanno un segreto che in realtà conoscono tutti e liti insanabili che invece si sanano in un petosecondo. Un finale così aperto può dare nuova linfa ad Arrow, e la serie ne aveva davvero bisogno.
Poi, la chicca è strettamente “tecnica”: la sovrapposizione, sia di trama che di montaggio, fra i due duelli finali, quello di oggi fra Arrow e Deathstroke con quello di cinque anni prima fra Oliver e Slade. Tu che li guardi sai già come andranno a finire entrambi gli scontri, ma ti appassioni lo stesso perché ne stai guardando due in uno.
Il finale organico e aperto risolleva il livello di una stagione che dava l’impressione di aver diluito un po’ troppo la trama orizzontale per farla durare per 20 episodi. Qui invece si tirano le fila, tutto d’un fiato, e la cosa pare funzionare.
Insomma, per la terza stagione, confermata da tempo, si può ben sperare.

Mario “Gomez” Iaquinta

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Mario Iaquinta

Nato da sua madre “dritto pe’ dritto” circa un quarto di secolo fa, passa i suoi anni a maledire il comunissimo nome che ha ricevuto in dote. Tuttavia, ringrazia il cielo di non avere Rossi come cognome, altrimenti la sua firma apparirebbe in ogni pubblicità dell’8×1000. Dopo questa epifania impara a leggere e scrivere e con queste attività riempie i suoi giorni, legge cose serie ma scrive fesserie: le sue storie e i suoi articoli sono la migliore dimostrazione di ciò. In tutto questo trova anche il tempo di parlare al microfono di una web-radio per potersi spacciare per persona intelligente senza però far vedere la sua faccia. Il soprannome “Gomez” è il regalo di un amico, nomignolo nato il giorno in cui decise di farsi crescere dei ridicoli baffetti. Ridicoli, certo, ma anche tremendamente sexy, if you know what I mean…
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