Per molti di noi, leggere un libro significa proiettare la propria mente in un universo parallelo. Alcuni dicono “chiudersi” nel proprio mondo ma in realtà, ci stiamo aprendo alle storie e in alcuni casi, alle esperienze raccontate dall’autore.
Dietro ogni lettera, c’è sempre un perché e un “come”, a volte anche un’illuminazione improvvisa, un attacco di ispirazione, o persino un aneddoto di tempi lontani.
Insomma, è facile affezionarsi alle righe di una storia e di conseguenza, a ciò che il narratore ci dice. Se poi si ha la possibilità di conoscere uno scrittore dal vivo, questo tipo di relazione può essere approfondita ed è piacevole imparare ancora un po’, rispetto ai testi che abbiamo già gradito.
E’ quello che in un certo senso farò oggi, ovvero una bella chiacchierata con Diego Galdino rispetto alla sua ultima fatica che è già in cima alle classifiche dei libri più amati del web: Bosco Bianco.
BOSCO BIANCO
Iniziamo a parlare del libro. Nel suo testamento, la signora Chiara Pizzi lascia in eredità il Bosco Bianco – una bellissima tenuta che si affaccia sulla costiera amalfitana. I beni vengono passati a suo nipote Samuele Milleri e alla signora Maia Antonini – figlia della sua più cara amica d’infanzia. Si dice che questo luogo, sia nascosto il diario segreto del leggendario scrittore americano Albert Grant.
Approfittando dei gravi problemi finanziari di Samuele, lo spietato Andrea Razzi – cinico uomo d’affari – acquista metà della tenuta (quella destinata a Samuele, appunto) per cercare il diario e farlo fruttare un bel po’ di soldini; ma il resto della tenuta spetta a Maia, alla quale riserva un trattamento diverso. Razzi, infatti, chiederà aiuto a Giorgio – suo collaboratore – che si fingerà Samuele, quindi nipote della defunta e ingannare la giovane ereditiera al costo di farla innamorare.
Il libro si basa tutto sull’espressione “per perdersi non serve un posto, basta una persona” e si scoprirà – nel corso della lettura – che vivere a Bosco Bianco può cambiare profondamente le persone… Cosa che capitò anche allo stesso Albert Grant, che fece dell’amore la sua unica ragione di vita.
La bellissima casa fa da perfetto sfondo per questo racconto d’amore che per molti versi ricorda una di quelle belle storie d’altri tempi. In questa cornice raffinata, si ritroveranno Maia – spiazzata del meraviglioso lascito della defunta – e dal fascinoso Giorgio. Entrambi dal cuore romantico, ma spezzato da esperienze negative.
Galdino riesce a dar vita ad una storia romantica ma la guarnisce con un ottimo McGuffin, o meglio, con una buona dose di mistero che aleggia attorno al fantomatico diario.
DIEGO GALDINO
Abbiamo parlato di Bosco Bianco, ora parliamo di Diego e come sapete, la mia prima domanda, ormai di rito, è sempre la stessa: chi è Diego Galdino?
Sono un uomo romantico dell’Ottocento finito nel secolo sbagliato per curiosità. La mia storia ricorda un po’ quella del protagonista del film Kate & Leopold. Con l’unica differenza che io non sono più riuscito a tornare indietro. E così vivo nel futuro considerando Persuasione di Jane Austen (il libro più bello che sia mai stato scritto), verso da bere a tavola alle signore, lascio loro il passo quando entro in un posto e aspetto che inizino a mangiare per portarmi il cibo alla bocca. Ho trovato il mio posto nel mondo finendo a lavorare dietro al bancone di un bar e ho deciso di far conoscere attraverso i miei scritti l’amore romantico a chi sembra averne dimenticato il significato o dubiti addirittura della sua esistenza.
Cosa ha fatto nascere la tua passione?
Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher, una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.
L’ispirazione è una musa dispettosa, non si sa mai da dove e quando arriverà. Ma una volta arrivata, solitamente ci dà l’input, le fondamenta, e sta a noi costruirci sopra. Parlando di Bosco Bianco, infatti, non ho potuto far a meno di chiedere a chi – per lui – questo libro si riferisse. Chi dovrebbe leggerlo, a che target – secondo te – è più consono?
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