Se interpretata alla lettera, certo, questa domanda è assolutamente priva di qualsivoglia senso, primo perché i corpi celesti possono possedere al più altri tipi di “chiome” non composte da crini o capelli letterali, e poi dei buchi neri non sappiamo, e non possiamo, ottenere alcuna informazione, tanto che a volte non sappiamo nemmeno se sono realmente dove riteniamo che siano.
Allora di che stiamo parlando?
Tutto inizia con una nota frase del fisico statunitense John Archibald Wheeler che in relazione alla forma dello spaziotempo vicino all’orizzonte degli eventi e alle relative informazioni in esso contenute, disse: «a black hole has no hair [un buco nero non ha capelli (o è calvo)]». Ad indicare che, anche nelle condizioni più pessimiste di una singolarità rotante provvista di carica, la struttura dello spaziotempo intorno ad un buco nero siffatto è univocamente determinata da 3 parametri: massa, spin e carica elettrica. Questa conclusione salta fuori da considerazioni opportune fatte in merito ad una delle possibili soluzioni di singolarità basate sull’equazione di campo di Einstein, detta soluzione di Kerr-Newman, che tra l’altro prevede uno spaziotempo, appena fuori dall’orizzonte degli eventi di un’entità di questo tipo, stazionario, assialsimmetrico e asintoticamente piatto. Tutte queste considerazioni, ed i vari casi esso esamina ma non trattati qui (per ovvi motivi) vanno sotto il nome di “No Hair Theorem” o “Teorema dell’essenzialità”.
Per dirla con parole semplici, i buchi neri hanno orizzonti di eventi lisci e ben definiti.
E allora dov’è il problema, direte voi…
Più che problema si tratta della questione risollevata da uno studio pubblicato recentemente su Live Science da un gruppo di ricercatori guidati dal professore di fisica ed astronomia presso l’Università canadese di Waterloo Niayesh Afshordi.
Lo studio poggia le sue fondamenta teoriche su due basi fisiche recenti: la radiazione di Bekenstein-Hawking, relativa all’evaporazione dei buchi neri, e le onde gravitazionali.
La prima afferma che, se una coppia particella – antiparticella viene a formarsi sull’orizzonte degli eventi, una di queste cadrà inesorabilmente nel pozzo gravitazionale della singolarità (in genere sarà l’antiparticella, per questioni energetiche), mentre l’altra riuscirà a sfuggirvi (per maggiori dettagli riportiamo qui il link di wikipedia dedicato a questo argomento); la seconda ci dice che in presenza di eventi cosmici particolarmente potenti, catastrofici, lo spaziotempo, ossia il tessuto stesso della realtà, viene “perturbato” dall’avvenimento in corso; tale perturbazione è assimilabile, per esempio, a quanto succede alla superficie di uno stagno se vi buttiamo un sasso dentro: nel punto di impatto si generano onde che giungono sino alla riva percorrendo tutta la superficie dello stagno; allo stesso modo un evento particolarmente significativo “increspa” lo spaziotempo circostante generando onde che si propagano in esso.
Stando a quanto detto da Afshordi, potrebbe essere possibile ricercare, ed eventualmente rintracciare, segni di entità quantistiche intorno ad un orizzonte degli eventi nelle onde gravitazionali generati dalla singolarità in esame, e registrate da appositi strumenti, sotto forma, ad esempio, di minuscole eco nell’onda in esame.
Lo studio pubblicato prendeva in esame i dati rilevati dagli interferometri LIGO e Virgo, relativi alla prima osservazione di onde gravitazionali, mostra che effettivamente vi sono alcune piccole “ridondanze” imputabili ai teorici echi generati dalla presenza, a livello quantistico, di materiale di “evaporazione” vicino al buco nero e causa di distorsioni manifeste nel segnale esaminato.
Quindi tutto dimostrato e accettato?
In realtà no, dato che, come rende noto la stessa pagina di BigThink.com, che ha riportato la notizia, altri studi che hanno preso in esame quei dati, hanno imputato tali echi a possibili “rumori nei rilevatori”, mentre altri ancora non hanno rilevato affatto i picchi d’onda in esame.
In conclusione dunque bisognerà compiere ulteriori esami su ulteriori dati per capire se quelli estrapolati dallo studio di Afshordi siano davvero segni di evaporazione o solo errori.
Se dunque volessimo dare risposta alla domanda posta nel titolo,ossia se i buchi neri hanno o meno i “capelli”, al più possiamo dire che non lo sappiamo perché sono ben incappucciati.
FONTI
BigThink.com per la news e le immagini;
Wikipedia: per i dati tecnici
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