Il narvalo (dal norvegese narhval), il cosiddetto unicorno del mare, è una creatura notoriamente difficile da studiare a causa dell’ambiente in cui vivono e anche per via del loro carattere ‘birichino’.
Normalmente si trovano in profondità sotto la superficie dell’Oceano Artico, ma si trovano anche al largo delle coste del nord del Canada e della Groenlandia.
Per i biologi marini che desiderano studiare queste creature questo rappresenta una difficoltà, poiché i narvali tendono a vagare attorno ai pericolosi fiordi glaciali.
Inoltre, i suoni dei motori delle imbarcazioni spaventano i timidi mammiferi acquatici, rendendo il compito ancora più frustrante.
Come se non bastasse c’è un altra complicazione per i biologi interessati a registrare il ‘canto’ del narvalo: i ghiacciai, frequenti nelle zone in cui vive il mammifero, producono ogni sorta di gemiti e stridii quando le imponenti pareti di ghiaccio collassano nell’oceano.
Il Canto del Narvalo
Eppure tutto questo non ha scoraggiato due biologi, Evgeny A.Podolskiy e Shin Sugiyama, a recarsi nell’habitat del narvalo per cercare di studiare le vocalizzazioni del narvalo, uno strumento efficace per far luce sui comportamenti del mammifero.
Come dicono nel loro articolo, Soundscape of a Narwhal Summering Ground in a Glacier Fjord, pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Oceans:
l’elevata suscettibilità del narvalo ai cambiamenti climatici evidenzia la necessità di ulteriori sforzi per documentare le caratteristiche base dei suoni che produce, soprattutto alla luce dei potenziali impatti antropogenici sui loro habitat.
Podolskiy e Sugiyama, partiti per la spedizione nel luglio 2019, sono stati assistiti dai balenieri Inuit (che rispettano le quote di caccia emesse dalla commissione di Canada e Groenlandia per la conservazione e la gestione di narvali e beluga). Partendo dal villaggio di Qaanaaq, i balenieri furono in grado di avvicinarsi molto ai narvali.
I due biologi raccontano che hanno “analizzato le misurazioni acquisite da una baleniera o da una piccola barca pilotata da una guida locale.
Questo approccio all’acquisizione dei dati è stato scelto poiché i cacciatori Inuit locali sono generalmente informati sulla zona e sul comportamento del narvalo e di solito sono in grado di rilevare la presenza di un animale molto più velocemente di un non locale.
Prima individuavano il narvalo con un binocolo o ad occhio nudo, quindi spegnevano il motore, attendevano, e si allontanavano silenziosamente con un kayak, riuscendo ad avvicinarsi abbastanza alla balena che riemergeva di tanto in tanto per arpionarlo in modo tradizionale.
Un insieme di richiami, rumori ronzanti, ‘clic’ e fischi hanno fornito ai ricercatori una ‘baseline’ dei tipi di suoni emessi dai narvali in questo particolare ambiente.
Circa 17 ore di registrazioni sono state raccolte durante la spedizione a Inglefield Bredning e Bowdoin Fjords.
Oltre ai ‘richiami sociali’, che suonavano come toni pulsati e fischi, i ricercatori sono stati in grado di identificare i suoni emessi durante la ricerca di prede (seppie, molluschi e crostacei), in particolare i loro ‘clic’ di ecolocalizzazione.
Come i delfini, i narvali aumentano la frequenza dei loro ‘clic’ man mano che si avvicinano alla preda, culminando in un ‘ronzio terminale’.
La nuova ricerca mostra che i narvali cercano cibo anche nel loro habitat estivo, cosa che prima non era ovvia, come anche che i narvali si avvicinano ai ghiacciai più di quanto si pensasse, a volte anche a un chilometro di distanza.
Resta ancora molto lavoro da fare però per capire davvero a fondo una delle creature più enigmatiche del pianeta, ispirazione di leggende e miti già dall’epoca medievale.
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