Sulla dignità della quinta edizione di Dungeons and Dragons si sprecano i discorsi. Non a tutti questa nuova edizione piace.
Nonostante infatti introduca meccaniche interessanti come quella di vantaggi e svantaggi e sia creata con una particolare cura della matematica di gioco, si sente spesso che molti ritengono la quinta edizione una eccessiva semplificazione del sistema di gioco, che annulla le possibilità di personalizzazione dei personaggi.
A prescindere dalle critiche mosse specificatamente alla 5a edizione di D&D, questo genere di commenti negativi è comune quando nasce una nuova linea di un GdR molto giocato: lo abbiamo già visto, per citare i due altri esempi più famosi, con la quarta edizione dello stesso D&D, o con il passaggio da Vampiri: La Masquerade a Vampiri: Il Requiem (ed in generale, poi, con tutte le linee del World of Darkness).
Di norma però in questi casi bisogna rendersi conto che probabilmente i tempi sono diversi da quelli in cui si è iniziato a giocare, e le esigenze del giocatore medio non sono le stesse che avevamo (e forse ancora abbiamo) noi.
Dungeons and Dragons è anche questione di stile
Quello che voglio dire è che, a volte al passo con i tempi ed a volte invece anticipandoli sagacemente o tardando nel seguirli, la pubblicazione di una nuova edizione di norma si rivolge a dei giocatori diversi, che siano di nuova generazione o che siano quelli della precedente che, crescendo, sono diventate persone nuove. E persone diverse sono portate a gradire stili di gioco differenti, che sia per una questione di meccanica o di metaplot, se non di entrambi.
Giochi di ruolo semplificati come la 5ed di D&D, ad esempio, incarnano l’esigenza squisitamente moderna dei vecchi giocatori, un tempo prevalentemente adolescenti, che adesso lavorano ed hanno meno tempo per stare dietro a build di personaggi, creazioni di schede articolatissime e regole complesse. E non solo, certo, anche le giovani nuove leve del GdR preferiscono questa edizione per vari motivi: è più facile per iniziare, più immediata, e richiede di spendere meno tempo ad una generazione che ha decisamente molti più stimoli di quelli che avevamo noi.
Ma non è tutto qui: la quinta edizione prevede uno stile di gioco più rilassato e ruolato, ma soprattutto meno “regoloso”. Inoltre, il sistema di gioco è bilanciato per campagne molto più brevi – si suppone che i personaggi raggiungano il livello 10, 15 a esagerare, non che vadano oltre il 20 e diventino creature epiche se non addirittura divine.
A quale dovrei giocare?
Se vi state ponendo questa domanda, forse dovreste prima chiedervi cosa vi aspettate dalla campagna che state per iniziare. Entrambe le edizioni hanno la loro dignità: semplicemente si rivolgono ad un pubblico di giocatori differente.
Se vi piace una costruzione articolata ed attenta del personaggio, in cui ogni singolo +1 contribuisce a strutturare una macchina da guerra ben oliata e funzionale da sfruttare in esplorazioni di dungeon quadrettati, vi assicuro che l’edizione di Dungeons and Dragons che fa per voi è la terza.
Se cercate invece un’esperienza di gioco più immersiva in cui gli errori che si pagano non sono quelli nella costruzione della scheda ma quelli ruolati al tavolo – ed in cui i meriti non sono da meno – forse dovreste dare un’occhiata alla quinta edizione e godervi un gioco più rapido in cui la tattica sta nel gestire al meglio narrativamente le situazioni proposte dal master, e non nel costruire il PG con la scheda più forte.
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