Episode 3 è stato ultimamente il fulcro dell’attenzione in un mondo collettivo dove la saga nata dalle menti di Valve non riconosce più volti familiari o comportamenti noti. E’ tutto, ora, un turbinio di confusione e modernità.
Episode 3 è l’ultimo atto del secondo capitolo della saga di Half-Life, una delle più famose serie di videogiochi al mondo. Proprio questo titolo, con la improvvisa concretizzazione (ormai qualche anno fa) di Duke Nukem Forever, era diventato per una grande quantità di tempo il nuovo emblema del vaporware.
Ma era destinato a tornare alla ribalta: recentemente Marc Laidlaw, uscito da Valve già da molti mesi, ha deciso di rilasciare al pubblico la trama del terzo episodio.
Questo ha creato un pandemonio di dimensioni apocalittiche. Protagonisti i fan, furiosi nei confronti di Valve che non ha mai creato e consegnato il gioco tanto desiderato.
Di fronte ad una situazione simile il mio istinto naturale è di regredire coi ricordi ai tempi in cui il videogioco era un hobby difficile da mantenere.
Questa regressione, particolarmente piacevole per i vecchi come me, non è solo un indulgere nella dolcezza dei ricordi di una giovinezza ormai sepolta, ma anche un utile strumento per determinare le cause della situazione presente.
Mi ricordo quando con fatica mi recai da Sondrio a Milano appositamente per comprare il cd che comprendeva l’originale Half Life e l’espansione Opposing Force.
Ai tempi la digital delivery era ancora uno scenario futuribile e per niente chiaro, ed i supporti rigidi erano l’unico mezzo per avere dei giochi sul proprio personal computer.
Era un mondo dove Internet era poco e brutto, dove i suggerimenti per le soluzioni delle avventure grafiche erano scarsi, scritti su file del blocco note di Windows e distribuiti su siti dalla grafica orribile.
Era però anche un mondo molto reale e statico in cui quel poco che si aveva era molto prezioso. Quel CD mi è sempre stato molto caro.
Half Life è stata la mia prima avventura in prima persona con una trama coinvolgente ed ha significato per il sottoscritto una rivoluzione rispetto alle distinzioni di genere che erano appartenute al mondo videoludico e che separavano i miei generi preferiti: First Person Shooter e Avventure grafiche.
Half Life è senza alcun margine di dubbio la mia saga preferita.
Nonostante fosse chiaramente possibile, già ai tempi, notare qualche piccola falla o imperfezione nel gioco, c’era poca possibilità di replica.
E questa osservazione non vale solo come critica sulla mancanza di mezzi di comunicazione, all’epoca, con la casa produttrice del videogioco.
Vale anche come sintesi dell’approccio che l’utente consumatore (in questo caso il videogiocatore) adottava al prodotto.
Anche a causa della mancanza di mezzi semplici per applicare delle patch il gioco doveva considerarsi in toto, con i suoi pregi e difetti, come un pacchetto unico.
E su di esso, considerato come finito e definitivo, doveva applicarsi il giudizio.
Era un mondo dove la distribuzione (rigorosamente fisica) era globale ma la fruizione era individuale. Tale era anche il rapporto con lo sviluppatore del gioco: al massimo un indirizzo di email a cui mandare una lettera elettronica a titolo personale.
Non era un’opzione pensabile quella di contestare una scelta tecnica della software house. Il videogioco era considerato come un quadro: una produzione artistica di un autore (in questo caso un gruppo di programmatori). La si poteva apprezzare e ringraziare o criticare ed evitare in futuro di comprare prodotti creati dalla stessa azienda.
Anche i pochi avventurosi che riuscissero a contattare la casa produttrice avrebbero comunque scritto una mail in cui chiedere (non pretendere) delle migliorie. Ed in ogni caso tali canali telematici erano rivolti quasi esclusivamente alla segnalazione di bug.
In quegli anni, proprio a causa della mancanza di feedback immediato dei propri bisogni da parte degli utenti, le software houses si concedevano il privilegio di produrre ciò che era di loro gusto, come un piccolo sviluppatore indie moderno, sperando che il prodotto piacesse.
Poi il mondo è cambiato sotto i piedi di tutti noi.
I videogiochi sono diventati un fenomeno di massa.
Sono entrate nel calcolo del tempo utile per lo sviluppo dei titoli le deadlines legate all’anno fiscale.
I videogiochi non hanno più avuto la necessità di essere totalmente esenti da bug grazie alle piattaforme di digital delivery come Steam.
Si sono moltiplicati i modi per dare feedback su un prodotto videoludico, tra cui alcuni totalmente pubblici come le recensioni.
Ed infine il mondo è diventato un pianeta vissuto e usufruito attraverso il concetto di massa.
Un mondo che io chiamo “ mondo collettivo ”.
Valve, Half Life, me. Realtà e persone capaci di evolversi ed adattarsi alla realtà moderna dove riescono a stare ma non si riconoscono più, nate e cresciute in un universo diverso e quasi parallelo.
E’ questo ciò che ha bloccato lo sviluppo di Half life episode 3.
Un mondo collettivo dove chi compra guarda le recensioni di chi ha comprato prima di lui e cambia immediatamente idea in base a quelle, invece di farsene una propria (anche se coadiuvato dal giudizio altrui).
Un mondo collettivo dove un utente chiede e pretende e, raggiunta una massa critica, può addirittura modificare le azioni e le decisioni dell’autore sulla sua opera. Come se Picasso avesse dipinto solo cose commissionate o con lo stile preferito dalla maggior parte dei possibili acquirenti, ed avesse modificato in corsa se qualcuno si fosse lamentato del suo ultimo quadro.
E’ voce abbastanza consolidata che il colpo di grazia finale su Episode 3 sia stata la polemica sul finale di Mass Effect 3, prodotto da Bioware. Una polemica così rumorosa e dannosa dal punto di vista dell’immagine da indurre Bioware a produrre un DLC gratuito per “risolvere la questione”.
Pare che Valve abbia constatato gli effetti di immagine ed economici di un incidente del genere su un franchise amato e seguito da tempo, molto simile al loro. E che proprio per evitare qualcosa di simile abbiano deciso di non terminare il lavoro e concentrarsi su qualcos’altro. Dato l’ammontare di aspettativa accumulata fino ad allora nei confronti della saga forse più iconica di sempre nella storia dei videogames moderni, non mi sento particolarmente irato nello spiegarmi così l’andamento dei fatti. Probabilmente avrei fatto la stessa cosa anch’io.
E nella mia mente malata si fa strada l’idea che la diffusione dello script di episodio 3 non sia stato altro che un arguto stratagemma ideato da Valve stessa per liberarsi del peso dell’aspettativa che milioni di persone avevano accumulato nei suoi confronti.
Ora sappiamo che Half Life è morto. E non l’ha ucciso Valve, cari lettori, l’abbiamo ucciso noi ed il mondo collettivo di oggi.
Buon riposo, dottor Freeman.
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