I ricercatori lo chiamano K2-18b, appartiene alla classe degli esopianeti rocciosi, tipo la Terra per intenderci, che percorrono orbita stabile in quella che, sempre dagli studiosi, viene definita zona abitabile circumstellare (in inglese CHZ), ossia una regione di spazio intorno alla stella madre in cui tutta una serie di fattori fisici e naturali renderebbe pressoché possibile l’esistenza e lo sviluppo di forme di vita sull’esopianeta.
Pianeti appartenenti a questa categoria ce ne sono nella galassia; Kepler, il telescopio spaziale appositamente operativo, ne ha osservati circa 44 degli oltre 3.000 analizzati ma K2-18b gode di una peculiarità che non è stata ancora riscontrata altrove e che lo renderebbe un candidato molto probabile alla vita, se non fosse che altri fattori gli giocano contro.
Ma non è tempo di cose vaghe, addentriamoci nella notizia e vediamo cos’ha di speciale questo esopianeta.
Stando a quanto riportato su Wikipedia, K2-18 b è un esopianeta, la cui massa è circa 8,5 volte quella della Terra, orbitante attorno alla stella nana rossa K2-18, situata a circa 111 anni luce dalla Terra.
La scoperta, avvenuta con il metodo del transito, risale al 2015 e rientra nell’ambito della seconda parte della missione Kepler. Le prime analisi spettroscopiche effettuate permisero di classificare K2-18b come un “mininettuno”, ossia un pianeta con caratteristiche similari a quelle del nostrano Nettuno ma con dimensioni notevolmente ridotte.
Ulteriori osservazioni successive, tramite il telescopio spaziale Spitzer, diedero conferme di alcuni dati, come il settore di appartenenza dell’orbita, che è per l’appunto all’interno della CHZ, i valori orbitali tipo il suo periodo d’orbita che sembra essere di circa 33 giorni, e parte della sua composizione atmosferica, ossia quei gas che è possibile riconoscere spettrograficamente dalla sua alta atmosfera, e qui viene il bello!
«Perché?» vi chiederete; bene, sappiate che al di là della sua semplicità la risposta cela alcune problematiche importanti. «Sì, vabbè, ma daccela sta risposta!» starete a dire.
Ok il perché è legato alla presenza di vapore acqueo in atmosfera, sì avete letto bene, c’è traccia rilevabile di acqua allo stato aeriforme e, in relazione a certi studi effettuati sui dati raccolti tra il 2016 ed il 2017, oltre ad idrogeno ed elio tipici dei muninettuni, l’atmosfera di questo esopianeta potrebbe contenere, oltre al vapor d’acqua, anche metano e azoto, il che lo renderebbe maggiormente idoneo ad ospitare forme di vita elementari.
Mentre questi dati sono però ancora sotto studio, e quindi da ritenersi poco certi almeno fino a conferma, è senz’altro certo che altri fattori contribuiscono a rendere questo esopianeta poco idoneo, in primis la sua stella madre K2-18.
Di fatti una stella di tal genere emetterebbe gran parte del suo spettro elettromagnetico in corrispondenza dell’infrarosso, rendendo difficile la presenza di forme di vita di superficie, anche solo vegetali, così come noi le conosciamo, senza considerare che, essendo una stella molto più piccola del nostro Sole (la sua massa è pari a solo 0,41 masse solari), renderebbe la zona di abitabilità molto prossima a sé, con il conseguente possibile incremento di influenza diretta della stella sul pianeta, tipo orbita sincrona (come quella di Mercurio, per intenderci) dovuta alle più intense forze di marea, e questo causerebbe una divisione netta tra emisfero illuminato ed emisfero buio, senza contare che un pianeta con queste caratteristiche e così vicino alla sua stella potrebbe non avere un campo magnetico adeguato a proteggerlo dalle radiazioni emesse dall’astro…
In conclusione quello che a tutt’oggi sappiamo di K2-18b è che non ne sappiamo abbastanza; di fatti alcuni dati ci permetto di pensarlo come un possibile candidato pianeta abitabile tipo la Terra. Si discute se considerarlo ancora un “mininettuno” o una “superterra”, dato che potrebbe essere roccioso, ma soprattutto in virtù dei gas ritrovati in alta atmosfera tra cui spicca il vapore d’acqua; altri dati, principalmente relativi alla sua stella e all’interazione con essa, ci suggeriscono di non considerare K2-18b come un potenziale candidato.
Di certo la risoluzione di questo dilemma arriverà più in là nel tempo quando ulteriori studi porteranno altri dati da analizzare e studiare, in attesa di smentite o conferme, dato che la scienza funziona così.
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