Essere uguale agli altri per essere accettato: Breakfast Club può aiutarvi

Da piccolo avevo una cotta per Allison di “Breakfast Club”. Sì, i cinque protagonisti in un modo o nell’altro ci rappresentavano un po’ tutti: ciascuno di noi aveva quello che sentiva più vicino – nel mio caso era un misto tra il nerd e il criminale – tuttavia, il mio cuore volava alto per la pazza, per Allison: dark, sarcastica, estremamente intelligente, letterata e inspiegabilmente ignorata da tutti. Mi piaceva il suo look, mi piacevano i suoi capelli, il suo sguardo, il modo in cui faceva quello sguardo da: “ti sto odiando, ti sto odiando, ma odio più forte me stessa”.

Ecco, non mi serviva essere poi così tanto grande per capire che il finale aveva un qualcosa di amaro. Perché quando ciascun protagonista svela i suoi problemi e si confronta con gli altri apparentemente molto diversi, tutti capiscono che sono connessi, che i loro ostacoli sono gli ostacoli degli altri, che anche se non per forza sono esattamente identici, tuttavia ci sono. E parlarne ha cambiato qualcosa.

Breakfast Club” è un classico degli anni ’80 il cui target sono i ragazzi, non di certo gli adulti: in questo film ogni adulto è un nemico, quindi posso capire che le tematiche siano un po’ tagliate con l’accetta, tuttavia risulta uno scorcio anche per gli adulti di una gioventù che, anche se in versione caricaturale, riesce a costruire un ponte tra le generazioni.

Da piccolo ero riuscito a capire questo, ma proprio non mi andava giù il finale, la parabola di Allison che alla fine, a parte mettersi con l’atleta (questo non è mai stato un problema), cambia completamente: si trucca e diventa un po’ come la principessa. Certo, sembra contenta di esserlo diventata, ma il messaggio è che devi uniformarti per essere contenta, per essere accettata e non mi è mai andato giù. Per un po’ ho detestato Allison, perché aveva fatto quello che io non avevo il coraggio di fare alle medie: non che volessi farlo, volevo solo smettere di sentirmi diverso, ma al contempo non volevo cambiare ciò che ero.

E allora che fare? Cos’era più importante?

La trasformazione di Allison mi ha fatto pensare, mi ha fatto quasi vacillare, però ogni volta che rivedevo “Breakfast Club” (avevamo il VHS) mi innamoravo di nuovo di quella pazza dark e della sua lingua biforcuta. La sua trasformazione invece distruggeva tutto ciò che aveva di interessante, la sua unicità, che poi era anche la mia, e allora mi chiedevo: dov’è Allison?

Ora è da tanto che non vado alle medie e forse è un bene non stare nei banchi. Però questa domanda me la pongo ancora, perché quella sensazione di diversità è ancora lì e mi chiedo: forse dovrei scegliere la via facile, quella di uniformarmi. La situazione della scuola, mi dicono alcuni amici insegnanti, sembra che segua sempre la stessa prassi e non è tanto diversa da quella che ricordo: alcuni ragazzi sono completamente diversi, hanno uno stile e per questo vengono presi in giro, altri invece escono da una catena di montaggio fatta da genitori assenti e televisione. Sì, forse la mia è una lamentela da vecchio… anche ai miei tempi era così, ma quando penso ad Allison, a ciò che era, non posso fare a meno di domandarmi cosa sarebbe successo se anche io come lei mi fossi uniformato. Forse avrei trovato prima una ragazza, prima nuovi amici e sarei uscito più spesso, ma sarei stato ancora io?

Rivedere “Breakfast Club” mi piace ancora, mi esalta, lo trovo un bellissimo film, un film che può aiutare le nuove generazioni, tranne per questa piccola macchia. Però forse sono solo io, forse mi sbaglio, forse non importa come siamo vestiti, perchè ognuno rimane unico a suo modo.

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