Alla conferenza stampa tenutasi il 10 Aprile 2019 (data da segnare), i relatori dell’INAF si sono riferiti a questo evento come “epocale”. Certamente non hanno esagerato, considerando che per la prima volta nella storia, si è riuscito a “fotografare” l’oggetto più misterioso dell’universo: un buco nero!
Nel seguito di questo articolo si spiegherà perché il termine fotografare è messo tra virgolette, e quale importanza riveste questo risultato nell’ambito dell’astrofisica e non solo; inoltriamoci dunque un po’ di più nella notizia.
EHT l’inizio dell’avventura
Tutto è iniziato due anni fa quando si è pensato di avviare una cooperazione internazionale, con relativo sfruttamento degli strumenti appositi, allo scopo di produrre uno sforzo coordinato atto a perseguire un unico risultato: immagini reali e non simulate di un buco nero (noi del Bosone fiutammo subito la notizia).
Nel corso di questo tempo i vari enti ed osservatori coinvolti in questo progetto hanno raccolto ed organizzato i dati, veramente moltissimi, raccolti e a scambiarseli, non senza difficoltà, per riuscire a tirare fuori quella che nella conferenza pubblica dell’INAF è stata definita la “foto dell’epoca”.
Com’è stato spesso ribadito durante la conferenza, l’ottenimento di questo risultato è stato reso possibile anche grazie alle innovazioni tecniche introdotte recentemente nel campo della radioastronomia, tra i quali la costruzione di antenne e strumenti di ricezione aventi maggiore sensibilità. Però, fondamentale si è mostrata la scelta dell’obiettivo giusto da prendere in esame: come infatti riportato anche nel nostro articolo di due anni fa, gli oggetti candidati erano il grande buco nero supermassivo nel cuore della nostra galassia, quello più vicino a noi, oppure quello ancora più grande (circa 2000 volte) presente nella galassia M87 nell’ammasso della Vergine.
Come è stato perfettamente spiegato dai fisici dell’INAF, la scelta non poteva che ricadere sulla galassia esterna, dato che la grandezza massiccia della singolarità presente in essa, fa sì che il materiale “intrappolato” impieghi un po’ più di tempo prima di gettarsi oltre l’orizzonte degli eventi, permettendone così un’analisi migliore.
Ma rimangono da chiarire ancora il perché del verbo fotografare messo tra virgolette, e la reale importanza dell’evento.
Per esplicitare bene il concetto inerente l’atto del fotografare, è importantissimo chiarire il metodo usato: come più volte ribadito in conferenza nessun strumento ottico al momento esistente sarebbe stato in grado di “risolvere” (cioè, passatemi il termine, vedere chiaramente) un tale tipo di oggetto stellare ad una tale distanza, né sarà possibile costruirne di adatti (non certo nel prossimo futuro); basti ad esempio vedere la migliore immagine scattata da Hubble Space Telescope alla stessa galassia tempo addietro (riportata in seguito, tra l’altro), che pur essendo molto dettagliata non mostra altro che forti bagliori dalla luminosità estrema.
EHT fornisce la prova diretta del Buco Nero
L’unico modo per distinguere qualcosa in quell’oceano di luce è usare strumenti che non vedono la luce, perciò si è ben pensato di fare ricorso a radiotelescopi, capaci di captare anche frequenze d’onda oltre il visibile. Inoltre, come ben spiegato dagli scienziati dell’inaf, un solo apparato sarebbe servito a ben poco, così si è deciso di coordinare gli sforzi di un certo numero di apparati sparsi per il globo, in modo da ottenere un radiotelescopio virtuale dalle dimensioni della terra; nella conferenza si è ben chiarito che le vere difficoltà sono state per lo più nella trasmissione dei moltissimi dati raccolti al centro di elaborazione, dato che a motivo della vasta mole, non potevano essere trasmessi via web.
Una volta giunti al centro elaborazione, questi dati sono stati controllati e ripuliti da possibili interferenze e infine, elaborati da software creati appositamente a formare l’immagine che abbiamo visto tutti. Perciò, la foto del secolo non è una foto nel senso stretto del termine ma si tratta di un’immagine convertita da dati raccolti dal grande buco nero osservato; potremmo definirla una “radiofoto”.
Perché è così importante essere riusciti ad ottenere un’immagine diretta? Anche questa risposta è in realtà molto semplice, ma nella sua semplicità risiede la sua importanza: fino ad ora tutte le immagini rappresentanti singolarità presenti in quell’ammasso o in quella galassia, erano solo elaborazioni numeriche simulate partendo da dati raccolti; questa volta quegli stessi tipi di dati non sono stati usati per simulare ma per ricostruire la loro fonte, permettendo agli studiosi di ottenere così una prova “osservata” e non simulata, del comportamento della teoria di Einstein in casi così estremi, e riscontrando che le simulazioni erano corrette; in poche parole, si è potuto finalmente “vedere” ciò che prima si teorizzava soltanto.
Fonti
Mediainaf per la notizia
Wikipedia per dati tecnici
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