Gamesweek 2015: alti e bassi del gaming moderno

Tanta tanta gente e tanti tanti giochi alla manifestazione Gamesweek 2015, così tanto di tutto che descrivere ogni cosa è impossibile, e quindi ci rinuncio.

Cercherò di darvi una descrizione completa delle mie impressioni e sensazioni, perchè gli eventi di questo tipo sono molto significativi soprattutto per quello che lasciano più che per quello che sono davvero.

In manifestazioni come il Gamesweek 2015 la gente è la parte migliore. La gente (anche se mi ha fatto sentire bisogno di un bastoncino vista l’età media molto bassa) che parlava, discuteva, dimostrava una conoscenza pazzesca di ogni dettaglio di ciò che lo entusiasmava. Gente che mostrava la sua passione in modi diversi: facendo le file per provare un gioco, esibendo il suo costume da cosplayer, portandosi la maglietta nerd da casa (ben in 7 hanno riconosciuto la mia maglietta di Portal !).

Questa è la parte che è anche parte di me. Perchè è una passione che mi spinge a partecipare, a giocare ogni sera, a dare il mio contributo al Bosone. Perchè giocare (non solo ai videogames) è una componente essenziale della mia vita, ed a mio parere molto nobile. Che unisce e crea spirito di corpo. Che ti rende parte di un tutto.

La parte peggiore l’ha fatta il carrozzone. Perchè ormai, uscito e sdoganato dal mondo dei LAN party, il videogame è diventato bene di consumo di massa ed è uscito dall’ambito esclusivo dei brufolosi occhialuti per diventare un mezzo per ottenere denaro. E quindi lo spirito di comunità viene sacrificato perchè (citando Angry Joe), “Fuck you give me money”.

Non era una manifestazione per dimostrare lo sdoganamento di un mondo, non serviva a pubblicizzarlo, non serviva a dire forte e chiaro a chi qualche anno fa giudicava questa comunità globale come un covo di sfigati “non siamo reietti, ora con l’Iphone giocate anche voi. Dateci voce, dateci spazio”. Serviva a vendere ad una nicchia di mercato. E non lo nascondeva molto.

Mi sono sentito meno a casa di quanto lo fossi stato ai LAN Party di qualche anno fa, persino meno che a qualche fiera del fumetto (non dichiaratamente mirata ai gamers).

Perchè c’era poco spazio per la gente. Oh, non sbagliatevi, ce n’era. Ce n’era a fiumi, di gente, e ce n’era, di spazio. Ma non c’era spazio per condividere una passione, c’era spazio per vendere. Non c’era spazio per aggregarsi, c’era spazio solo per competere: competere in coda per farsi una partita ad un gioco prossimamente in uscita (manco fosse l’Expo). Competere nei tornei.

Non era lo spazio della gente, era lo spazio equamente distribuito dei grandi che si facevano posto a suon di dollaroni. Le console (Playstation, Xbox e WiiU) e le major (Electronic Arts, Ubisoft e via discorrendo).

Questo era il padiglione 3, cioè il piano terra dell’edificio che ospitava la fiera.

Giochi e giochi e giochi in uscita (anche validissimi, per carità) in una vetrina scintillante sperando che il gamer se lo compri, Republic of Gamers che cerca di piazzare il proprio hardware. Code code code. Che infatti ho accuratamente evitato (ho un’allergia alla compressione ed all’attesa immotivata). Niente divanetti per ottimizzare lo spazio, così possiamo mettere lo stand delle PS4 iperpersonalizzate (at a price).

Gamesweek 2015 Steam VR

Note positive: la possibilità di provare la Steam VR, un ottimo e spettacolare (nel senso buono) torneo di Heroes of the storm, ed una fantastica zona indie di cui parlerò più tardi.

Gamesweek 2015 Heroes of the storm

Il padiglione 4, cioè il piano superiore, era molto più vuoto ma molto più genuino. I tornei di appassionati (Street Fighter 4, Counter-strike, FIFA etc.)

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La Razer con il suo bus (ancora credibile nel suo “from gamers to gamers”), i cosplayers.

Fan degli Youtubers allo stand Melagoodo
Fan degli Youtubers allo stand Melagoodo

Gli youtubers che vorrebbero diventare PewDiePie (ed i fan anche un pò troppo esagitati, ma è la gioventù…). I tavolini del caffè pieni di gente che chiedeva alla mamma al telefono scusa per aver ceduto e aver preso la PS4. Qualcuno un pò meno adatto all’atmosfera, tipo chi ti spaccia una configurazione con tre Titan X  (e conseguente alimentatore da 1200) come qualcosa di normale e più utile della unica funzione che davvero ha: fare lo sborone.

Gamesweek 2015 , configurazioni estremeUna perla del Gamesweek 2015 è stata la zona indie del padiglione 3 dove gli sviluppatori, rigorosamente italiani, hanno avuto la possibilità di fare uno showcase della loro creazione, terminata o in fase di elaborazione, e acquisire feedback dal pubblico promuovendosi.

Tanti bei titoli dei quali due in particolare hanno catturato la mia attenzione: il mix  di avventura e di strategia di Nantucket e lo stile ed il coraggio dell’avventura grafica Blue Volta. Citazione doverosa anche per The Wardrobe, che sfortunatamente non ho avuto la possibilità di provare. E’ stato bello vedere quanta creatività ancora possiede questo paese, e quanta voglia hanno ancora i nostri connazionali di fare qualcosa sconfiggendo un ambiente indubbiamente ostile. Un pò come fa un certo magazine che conosciamo bene.

Riassumendo / versione TL;DR:

Highlights:

  • Gli appassionati
  • I cosplayers
  • La possibilità di provare La Steam VR
  • La zona indie
  • Tanta spettacolarizzazione nel senso buono del termine

Lowlights:

  • Le code
  • Tanta, troppa smaccata pubblicità
  • Tanta spettacolarizzazione nel senso cattivo del termine

Finale: LE IMMAGINI DEI COSPLAYERS AL GAMESWEEK 2015

(cliccate per ingrandire)

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Joliet Jake

Nato in una assolata e ridente (?) valle ai confini con la Svizzera, Joliet Jake sfruttò, dalla nascita, questo profluvio di orologi e cioccolato per la sua crescita. Un’errata proporzione nel mix ottenne lo straordinario risultato di farlo arrivare sempre in ritardo e di dipendere dal cioccolato per la propria sopravvivenza. Informatico per passione, ha molti interessi e mirabilmente riesce a fallire in tutto in modo omogeneo. Autore di testi di vario genere per formazione e velleità, si prodiga nella redazione di castronerie astrali. Vi conviene leggere i suoi scritti prima che scompaia ed il suo genio venga riconosciuto postumamente da archeologi in cerca di reliquie letterarie(digitali) di alto lirismo. Che però saranno convinti che la lingua dei testi sia il turcomanno antico.
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