Giochi di Ruolo sono il nuovo Terrorismo? Lo dice un giornalista

Un giornalista associa il massacro in Nuova Zelanda ai giochi di ruolo; sui social, è polemica

Qualche giorno fa ho scritto un articolo su quanto il piccolo-grande mondo nerd, fatto di fumetti, cinecomics, videogiochi e cosplay, stesse facendo passi avanti, di come in molti stessero finalmente riconoscendo il valore, anche educativo, nascosto sotto tanti colori e disegni. Ora, invece, ci troviamo catapultati sull’altro lato della medaglia. Perché, se da una parte non si pensa più al “nerd” con lo stereotipo del ragazzo brufoloso e isolato dal mondo intero, dall’altra, invece, quelli che provano ad avvicinarsi a questo mondo, spesso, non riescono ancora a capirlo, lasciandosi quasi spaventare da ciò che essenzialmente è solo diverso.
Immaginiamo un giornalista, un uomo che non si è mai interessato a nulla che possa definirsi anche lontanamente nerd (odio imporre delle etichette, ma a volte si rende necessario). Immaginiamolo immerso in un raduno per cosplay o per giochi di ruolo da vivo. Che cosa vedrebbe?larpers

Giochi di Ruolo e Disinformazione: che binomio!

Ragazzi e ragazze, di tutte le età, travestiti da personaggi strani, grotteschi alcuni, con parrucche colorate, curiose armi tra le braccia e iridi dalle tonalità innaturali. Credono nel ruolo che interpretano, come consumati attori, e posano, ridendo, puntando contro la gente fucili e coltelli. Secondo voi, quel giornalista, che cosa penserebbe? Una volta, quando ero più piccola, ho convinto mia madre ad accompagnarmi a un simile evento e, ancora oggi, lei ne parla come qualcosa “per nulla normale” e, a tratti, inquietante. Credo che questa sia pressoché la stessa impressione avuta dal giornalista che avrebbe chiunque si avvicini ad una realtà “diversa” senza qualcuno che possa iniziarlo con le dovute spiegazioni. Perché a volte basterebbe solo questo, un’esaustiva spiegazione per liberarsi di quei tanto odiosi pregiudizi che possono rendere ridicolo il lavoro di un professionista e far storcere il naso a chi, almeno un po’, sa di che cosa sta parlando. Non parlo sui generis, purtroppo faccio riferimento a un caso nello specifico.

In un articolo, quel giornalista di cui parlavamo prima, ha tentato di cimentarsi in una spiegazione su cosa fossero i fantomatici giochi di ruolo. Tutto è iniziato alla grande. Ha parlato spesso di “alienazione”, il che è decisamente vero. Quando si indossano quei vestiti, a volte, ci si lascia semplicemente andare, soprattutto se il costume prevede una maschera che garantisca l’anonimato. Ci si aliena dal proprio mondo, dai propri doveri e, almeno per un giorno, ti diverti a pensare come sarebbe il mondo se fosse come quello del personaggio che si tenta di imitare. Tuttavia, dopo appena un paio di parole, l’idillio è finito.

Il giornalista fa riferimento, come esempio di questa alienazione, a una tragedia avvenuta in Nuova Zelanda lo scorso 15 Marzo. In un attacco a due moschee, sono morte 49 persone e, come se non bastasse, il tutto è stato ripreso in diretta Facebook e condiviso a macchia d’olio su altri social.

Quattro le persone che si sono rese responsabili di questa brutalità e, in un tweet postato da uno dei terroristi, si vedono i caricatori delle armi automatiche con su i nomi di personaggi storici e autori di azioni contro gli immigrati: compreso l’italiano Luca Traini.

In più, il capo del commando, Brenton Tarrant, poco prima del massacro, aveva affermato, sempre online, che si voleva ispirare alla strage compiuta ad Utoya, in Norvegia, da Anders Breivik nel 2011, il quale uccise “gli stranieri invasori”.

articolo giochi di ruolo
Il pezzo incriminato

Il giornalista, come dicevo, fa riferimento a questa tragedia, citandola ad esempio di cosa può accadere quando si perde di vista la propria coscienza per “indossare” quella di qualcun altro, riprendendo e condividendo il tutto come se fosse una sorta di videogioco di cui vantarsi.

Conclusioni

A questo punto, voi appassionati di cosplay e gdr, forse starete storcendo il naso con me. Ho riletto più volte l’articolo incriminato, mi sono documentata sul massacro avvenuto in Nuova Zelanda ma il collegamento con i giochi di ruolo proprio mi sfugge.

È bastato un nome sui caricatori, la condivisione sul web, per far cadere il giornalista in errore? Un errore figlio del pregiudizio che può diventare molto pericoloso se si dispone di mezzi come quello di un giornale e di una platea di persone più che adulte completamente ignoranti in materia, pronte a farsi condizionare da qualsiasi voce si possa ergere sulle altre.

In definitiva, questa vicenda mostra come la disinformazione possa essere una piaga dura da combattere. Non servono di certo le mie parole per dire che la pazzia, la crudeltà, fanno parte dell’essere umano al di là del fatto se stia indossando una maschera o meno. Quando la passione è sana e viene coltivata con dedizione e amore, si vestono solo i panni fisici del proprio personaggio ma la coscienza rimane intatta, la stessa che ci ha portati ad avvicinarci a quel mondo fantastico senza perdere di vista i limiti della moralità umana. Tutto ciò che succede oltre, non è più un gioco, non è più un divertimento e non ha nulla a che fare con i giochi di ruolo, con i cosplay o con qualsiasi altra cosa. È solo crudeltà fine a se stessa, nient’altro.

Concludendo, vorrei ribadire un concetto. Mai scrivere di qualcosa di cui si sa poco o nulla. Dovrebbe essere la regola madre, quella che, appunto, ci spinge ad indagare prima di costruirci un’opinione su un fatto o su un altro. Per farlo sarà necessario denudarsi del pregiudizio e vestirsi dell’umiltà di “chi non sa, ma che vorrebbe conoscere”. E questo sarà, forse, il cosplay più bello di sempre.

Paola.

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