“Grande Giove!”
Questa era l’espressione, resa nella nostra lingua, usata dallo scienziato/inventore Emmett L. Brown (per chi non lo ricordasse, si tratta di un personaggio della trilogia cinematografica “Ritorno al Futuro”!) ogni qual volta si rendeva conto che la situazione poteva peggiorare,
e grazie a questo molti sono abbastanza certi che Giove sia uno dei pianeti più grandi del Sistema Solare (c’è da dire che alcuni potrebbero non avere la corretta nozione di “pianeta”, e che di fatti Giove è il più grande fra i pianeti). Da sempre questo gigante planetario è oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi, in virtù della sua enorme influenza su possibili avvenimenti riguardanti i pianeti che lo precedono, tra i quali la Terra, ovviamente, e della sua struttura particolare: esso è il primo dei pianeti “giganti gassosi” osservati dall’uomo ed il capostipite della tipologia dei “gioviani”, pianeti extrasolari che, come dice il nome appunto, mostrano caratteristiche assai simili a quelle del nostro enorme vicino.
Considerata dunque la sua importanza, approfondiamo un po’ di più la nostra conoscenza di questo pianeta straordinario.
La carta di identità di Giove
Innanzi tutto vediamo cosa sappiamo già di questo gigante cosmico: Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di chilometri (ossi 5,202 UA, unità astronomiche) e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni. L’orbita di Giove è inclinata di 1,31º rispetto al piano dell’eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di chilometri tra i due apsidi, il perielio (740 742 598 km) e l’afelio (816 081 455 km). La velocità orbitale media di Giove è di 13 056 m/s (47 001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4.774 milioni di chilometri.
Anche il suo asse di rotazione presenta un’inclinazione relativamente piccola, solamente 3,13º, e precede ogni 12.000 anni; di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte.
Giove non è un corpo solido, per questo la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: infatti, la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all’equatore. Sono stati adottati tre sistemi di riferimento per monitorare la rotazione delle strutture atmosferiche permanenti. Il sistema I si applica alle latitudini comprese tra 10º N e 10º S; il suo periodo di rotazione è il più breve del pianeta, pari a 9 h 50 min 30,0 s. Il sistema II si applica a tutte le latitudini a nord e a sud di quelle del sistema I; il suo periodo è pari a 9 h 55 min 40,6 s. Il sistema III fu originariamente definito tramite osservazioni radio e corrisponde alla rotazione della magnetosfera del pianeta; la sua durata è presa come il periodo di rotazione “ufficiale” del pianeta (9 h 55 min 29,685 s); Giove quindi presenta la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare.Quest’alta velocità di rotazione è all’origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, facilmente visibile anche tramite un telescopio amatoriale; questo rigonfiamento è causato dall’alta accelerazione centripeta all’equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l’accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un’accelerazione risultante pari a 23,12 m/s²: di conseguenza, un ipotetico oggetto posto all’equatore del pianeta peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini. Queste caratteristiche conferiscono quindi al pianeta l’aspetto di uno sferoide oblato, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare: il diametro misurato all’equatore supera infatti di 9.275 km il diametro misurato ai poli.
Il titano nella storia
Giove è noto sin dall’antichità, infatti già i Babilonesi lo usavano per calcoli e considerazioni astronomiche; basti pensare che il pianeta è il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere, e che di fatti attraversa tutte le costellazioni zodiacali. Era sicuramente noto anche a Greci e Romani, e i Cinesi hanno persino il primato osservativo di aver registrato, ad occhio nudo, la presenza di uno dei suoi satelliti.
Ma Giove iniziò a svelare la sua grandiosità, e parte dei misteri del cosmo, solo quando Galilei gli punta addosso uno dei suoi “cannocchiali”, e notando che anch’esso possiede dei corpi che gli girano intorno: i quattro satelliti “Medicei” Io, Europa, Callisto e Ganimede.
Durante il Seicento vennero fatte molte altre scoperte in merito: l’ottico napoletano Francesco Fontana scoprì le caratteristiche bande dell’atmosfera del pianeta; l’astronomo Gian Domenico Cassini, molto attivo in quel periodo, scoprì la presenza di macchie sulla superficie di Giove e che il pianeta stesso ha la forma di uno sferoide oblato. Riuscì poi a determinarne il periodo di rotazione, e nel 1690 scoprì che l’atmosfera è soggetta a una rotazione differenziale; gli è inoltre accreditata la scoperta, assieme, ma indipendentemente, a Robert Hooke, della Grande Macchia Rossa. Lo stesso Cassini, infine, assieme a Giovanni Alfonso Borelli, stese precise relazioni sul movimento dei quattro satelliti galileiani, formulando dei modelli matematici che consentissero di prevederne le posizioni.
Più avanti nel tempo, siamo attorno al 1890 circa, Edward Emerson Barnard scoprì la presenza attorno al pianeta di un quinto satellite, ribattezzato Amaltea.
In tempi a noi più prossimi, nel 1932, Rupert Wildt identificò, analizzando lo spettro del pianeta, delle bande di assorbimento proprie dell’ammoniaca e del metano. Sei anni dopo furono osservate, a sud della Grande Macchia Rossa, tre tempeste anticicloniche che apparivano come dei particolari ovali biancastri. Per diversi decenni le tre tempeste sono rimaste delle entità distinte, non riuscendo mai a fondersi pur avvicinandosi periodicamente; tuttavia, nel 1998, due di questi ovali si sono fusi, assorbendo infine anche il terzo nel 2000 e dando origine a quella tempesta che oggi è nota come Ovale BA.
Nel 1955 Bernard Burke e Kenneth Franklin individuarono dei lampi radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz; si trattava della prima prova dell’esistenza della magnetosfera gioviana. La conferma giunse quattro anni dopo, quando Frank Drake ed Hein Hvatum scoprirono le emissioni radio decimetriche.
In fine, nel periodo compreso tra il 16 e il 22 luglio 1994 oltre 20 frammenti provenienti dalla cometa Shoemaker-Levy 9 collisero con Giove in corrispondenza del suo emisfero australe; fu la prima osservazione diretta della collisione tra due oggetti del sistema solare. L’impatto fu un evento molto seguito sia da addetti del settore che da appassionati, e permise di ottenere importanti dati sulla composizione dell’atmosfera gioviana.
Osservato speciale
Va detto che l’osservazione del pianeta non è stata limitata solo a strumenti da terra, bensì molte sonde spaziali sono state sfruttate per la raccolta di dati sul gigantesco pianeta, nel momento del loro passaggio più prossimo ad esso;
Dal 1973 perciò diverse sonde hanno compiuto sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta. La prima fu la Pioneer 10, che eseguì un fly-by di Giove nel dicembre dello stesso anno, seguita dalla Pioneer 11 un anno più tardi. Le due sonde ottennero le prime immagini ravvicinate dell’atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni suoi satelliti, la prima misura precisa del suo campo magnetico; scoprirono inoltre che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era assai superiore a quella attesa. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l’occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorò le stime del valore del suo diametro equatoriale e dello schiacciamento ai poli.
Successivamente, cioè sei anni dopo, fu la volta delle missioni Voyager, programmate per l’esplorazione del sistema solare esterno, recarsi da quelle parti per riportare dati utili. Le due sonde hanno migliorato enormemente la comprensione di alcune dinamiche dei satelliti galileiani e dell’atmosfera di Giove, tra cui la conferma della natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa e l’individuazione di lampi e formazioni temporalesche; permisero inoltre di scoprire gli anelli di Giove e otto satelliti naturali sconosciuti. Le Voyager inoltre rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell’orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell’atto di eruttare. Voyager 1 in particolare permise inoltre di scoprire altri otto satelliti,come già detto, che si andarono ad aggiungere ai cinque noti.
Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, sorvolò Giove e fornì alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta.
L’ultima sonda a raggiungere Giove è stata la New Horizons, che, diretta verso Plutone e gli oggetti della fascia di Kuiper, ha eseguito un fly-by del pianeta per sfruttarne la gravità; l’approccio più vicino fu il 28 febbraio 2007. I sensori della sonda all’uscita dall’orbita di Giove hanno misurato l’energia del plasma emesso dai vulcani di Io ed hanno studiato brevemente ma in dettaglio i quattro satelliti medicei, conducendo anche indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara.
Una menzione a parte merita la missione Galileo; di fatti sino ad oggi l’unica sonda progettata appositamente per lo studio del pianeta è stata la sonda Galileo, entrata in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e rimastavi oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha registrato l’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9. Nel luglio del 1995 è stato sganciato dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, entrato nell’atmosfera del pianeta il 7 dicembre; il modulo ha raccolto dati per 75 minuti, penetrando per 159 km prima di essere distrutto dalle alte pressioni e temperature dell’atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere – ~2,8 × 106 Pa, e 185 °C – 458 K). La stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, fu deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, per evitare qualsiasi possibilità che in futuro potesse collidere con il satellite Europa e contaminarlo.
Giove e Juno, una coppia perfetta!
Di recente la NASA ha progettato una sonda per lo studio di Giove da un’orbita polare; battezzata Juno, fu lanciata nell’agosto 2011 ed è arrivata nei pressi del pianeta nel luglio scorso, divenendo di fatto la seconda sonda dedicata allo studio del pianeta.
Lo scopo di Juno è analizzare le caratteristiche di Giove come rappresentante dei pianeti giganti. Il ‘peso massimo’ del Sistema Solare può infatti offrire dati di fondamentale importanza non solo per approfondire le origini del Sistema stesso, ma anche per analizzare quelle dei sistemi planetari che man mano si vanno scoprendo intorno ad altre stelle, con particolare riferimento a quegli esopianeti di massa simile a Giove.
I suoi obiettivi principali sono:
- Capire le proprietà strutturali e la dinamica generale del pianeta attraverso la misurazione della massa e delle dimensioni del nucleo, dei campi gravitazionale e magnetico;
- Misurare la composizione dell’atmosfera gioviana (in particolare le quantità di gas condensabili come H2O, NH3, CH4 e H2S), il profilo termico, il profilo di velocità dei venti e l’opacità delle nubi a profondità maggiori di quelle raggiunte dalla sonda Galileo;
- Investigare sulla struttura tridimensionale della magnetosfera dei poli.
Il viaggio della sonda è iniziato poco più di cinque anni fa, il 5 agosto 2011, e il suo arrivo a destinazione, l’orbita di Giove, è avvenuto lo scorso 4 luglio (in Italia era l’alba del giorno successivo) dopo un tragitto di circa tre miliardi di chilometri.
Il primo fly-by ravvicinato è avvenuto con successo ed è stata la prima volta che Juno si è trovata così prossima a Giove da quando è entrata nella sua orbita. Il passaggio radente del 27 agosto è il primo di una serie di manovre analoghe – ben 35 – programmate per tutto il corso della missione, la cui vita operativa avrà termine a febbraio 2018.
Volteggiandogli attorno ad un velocità di oltre 200 mila chilometri orari, la sonda ha puntato sul quinto pianeta del Sistema Solare il suo set di strumenti scientifici ed ha iniziato a raccogliere preziose informazioni che da lunedì a giovedì tutto il team scientifico di Juno ha analizzato a San Antonio in Texas per avviare le prime analisi comparate e correlate dei dati provenienti dai vari strumenti della sonda.
Giusto per dare l’idea di quanto approfonditamente questa sonda debba analizzare il suo obiettivo, riportiamo la serie di strumenti, preparati appositamente allo scopo, che reca a bordo:
- MWR (Microwave radiometer): L’obiettivo principale del radiometro sarà sondare la profonda atmosfera di Giove a onde radio tra 1.3 cm e 50 cm usando sei radiometri separati per misurare l’emissione termica del pianeta. Questo strumento è stato costruito dal Jet Propulsion Laboratory.
- JIRAM (Jovian Infrared Auroral Mapper): L’obiettivo principale del JIRAM sarà sondare gli strati superiori dell’atmosfera gioviana fino ad una pressione tra 5 e 7 bar, nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso tra 2 e 5 nanometri, usando una fotocamera ed uno spettrometro. Questo strumento è stato costruito dall’ Istituto Nazionale per l’Astrofisica (INAF) e la Selex-Galileo Avionica.
- FGM (Fluxgate Magnetometer): Gli studi del campo magnetico avranno tre obiettivi: mappare il campo magnetico, determinare le dinamiche del nucleo di Giove, e determinare la struttura 3D della sua magnetosfera polare. Questo strumento è stato costruito dal Goddard Space Flight Center, della NASA.
- ASC (Advanced Stellar Compass): L’obiettivo del ASC sarà permettere a Juno di orientarsi, in base a complesse e precise osservazioni stellari. Questo strumento è stato costruito dal Goddard Space Flight Center, della NASA.
- JADE (Jovian Auroral Distribution Experiment): JADE studierà la struttura del plasma intorno alle aurore di Giove, misurando la posizione, l’energia e la distribuzione per composizione delle particelle cariche della magnetosfera polare di Giove. Questo strumento è stato costruito dal Southwest Research Institute.
- JEDI (Jovian Energetic particle Detector Instrument): JEDI misurerà l’energia e la distribuzione angolare dell’idrogeno, l’elio, l’ossigeno, lo zolfo e altri ioni nella magnetosfera polare di Giove. Questo strumento è stato costruito dall’Applied Physics Laboratory.
- WAVES (Radio and Plasma Wave Sensor): Questo strumento identificherà le regioni delle correnti presenti nelle aurore, per riuscire a definire le emissioni radio di Giove e l’accelerazione che subiscono le particelle presenti nell’aurora, misurando lo spettro radio e plasma nella regione dell’aurora. Questo strumento è stato costruito dall’Università dell’Iowa.
- UVS (Ultraviolet Imaging Spectrograph): UVS registrerà la lunghezza d’onda, la posizione ed il tempo d’arrivo dei fotoni ultravioletti. Usando un rilevatore con un canale a 1024×256 micron, riuscirà ad ottenere immagini spettrali delle emissioni delle aurore nella magnetosfera polare. Questo strumento è stato costruito dal Southwest Research Institute.
- GSE (Gravity Science Experiment): Lo scopo primario di questo strumento sarà studiare la struttura interna di Giove, ottenendo misurazioni dettagliate del suo campo gravitazionale da una posizione di orbita polare. Sarà un esperimento di radio-scienza che userà i sistemi di telecomunicazioni per rispedire dati sulla Terra riguardo alla posizione precisa di Juno rispetto a Giove. La distribuzione della massa nel nucleo di Giove dovrebbe causare variazioni locali nella sua gravità, e queste saranno rilevate grazie all’effetto doppler nello spettro radio delle onde X e Ka. Questo strumento è stato costruito da Thales Alenia Space-I.
- JCM (JunoCam): Una fotocamera/telescopio che includerà un carico scientifico per facilitare il coinvolgimento del pubblico e per scopi educativi. Opererà per soltanto 7 orbite intorno a Giove dato che la radiazione del campo magnetico di Giove è talmente forte da proibire l’uso prolungato. Questo strumento è stato costruito dal Malin Space Science Systems.
Come si vede, l’Italia ha fornito alla missione due strumenti: lo spettrometro ad immagine infrarosso JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper) e lo strumento di radioscienza KaT (Ka-Band Translator) che rappresenta la porzione nella banda Ka dell’esperimento di gravità.
Sono proprio questi due strumenti ad aver fornito le prime immagini trasmesse dalla sonda.
JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), progettato per studiare la dinamica e la chimica delle aurore gioviane nel vicino infrarosso, e KaT (Ka-band Translator/Transponder), che analizzerà la struttura interna del pianeta, con l’obiettivo di mappare il campo di gravità di Giove.
Passione e curiosità dallo spazio
Come ribadito in precedenza, i dati sono in via di elaborazione e presto si tireranno fuori da essi informazioni particolareggiate su quello che già conosciamo del gigante gassoso, e forse qualcosa di nuovo che non sospettavamo; in ogni caso non possiamo che attendere i tempi della ricerca, che come abbiamo potuto vedere in questo caso, si avvale degli strumenti più avanzati del momento e comunque sa darci ancora emozioni genuine, già soltanto con delle immagini!
Come detto in precedenza, il connubio Giove-Juno durerà fino a Febbraio 2018, quindi c’è tutto il tempo per fare la nostra prima conoscenza di questo pianeta, qualora non avessimo già provveduto, e attendere ulteriori novità “in diretta” dallo spazio grazie alla nuova missione dedicata. Tutta una serie di motivi dunque per accendere o riaccendere la nostra passione per il cosmo.
Vi lascio con un paio di curiosità su Juno, piccole chicche da sapere assolutamente, prima di concludere:
La prima riguarda una targa incisa, la sonda infatti porta con sé una placca dedicata a Galileo Galilei, fornita dall’Agenzia Spaziale Italiana. Questa è una copia in alluminio dell’originale manoscritto in cui Galileo ha descritto per la prima volta le quattro lune galileiane di Giove;
La seconda suscita anche un po’ di ilarità in quanto, oltre alla targa, la sonda porta con sé anche tre figurine LEGO, che rappresentano Galileo, Giove e sua moglie Giunone (Juno).
Dal Monte Olimpo, Giunone è riuscita a guardare attraverso le nubi e capire la vera natura di suo marito, la sonda Juno spera di riuscire a fare lo stesso con il più grande gigante gassoso del Sistema Solare. Le tre figurine sono state costruite in alluminio invece della solita plastica dei LEGO per permettere loro di durare a lungo durante il volo spaziale.
Fonti
- MediaINAF, il notiziario online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica: fonte della notizia;
- Wikipedia, l’enciclopedia libera: fonte dei dati tecnici;
- NASA: fonte delle immagini riportate.
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