Google ti fa credere un genio, ma Socrate ti avrebbe già smascherato

“So di non sapere.” Con questa frase, Socrate ha inciso un principio fondamentale del pensiero critico. Oggi, però, il paradosso è evidente: l’accesso illimitato all’informazione ci ha reso più sicuri, ma non più consapevoli. L’apparenza di sapere ha sostituito la sostanza della conoscenza. E così come il silenzio potrebbe essere il miglior strumento per farci notare, ammettere che non sappiamo qualcosa potrebbe renderci più saggi.

Socrate e il paradosso dell’informazione digitale: perché ammettere di non sapere è saggezza

L’era digitale ha trasformato la conoscenza in una questione di rapidità. In pochi secondi si ottiene una risposta, si accumulano dati, si collezionano link. Tuttavia, questo flusso continuo di contenuti non corrisponde automaticamente a una comprensione profonda. Il rischio è quello di confondere la facilità d’accesso con la qualità della riflessione. Non si tratta solo di avere le risposte, ma di saperle interrogare.

Socrate costruiva la sua filosofia sul dubbio. Le sue domande non servivano a ottenere informazioni, ma a smascherare le convinzioni infondate. Per lui, la saggezza nasceva dalla consapevolezza dei propri limiti cognitivi. L’opposto esatto dell’atteggiamento che si osserva spesso online, dove la sicurezza del “sapere tutto” si fonda su ricerche lampo e fonti non verificate.

L’algoritmo (proprio quello che ha bandito una città inglese) amplifica questo fenomeno. I contenuti che ci raggiungono sono selezionati in base alle nostre preferenze, rinforzando ciò che già pensiamo di sapere. Il risultato è un ecosistema informativo che riduce l’esposizione al dubbio, rendendo sempre più difficile distinguere tra ciò che si sa veramente e ciò che si crede di sapere.

Questo meccanismo ha conseguenze culturali rilevanti. Quando si smette di mettere in discussione le proprie convinzioni, il pensiero si irrigidisce. La conoscenza diventa una conferma di sé, anziché uno strumento per esplorare il mondo. La disinformazione non si diffonde solo attraverso notizie false, ma anche attraverso l’illusione di sapere che nasce dall’accumulo passivo di contenuti.

Ammettere di non sapere non è un atto di debolezza, ma di lucidità. Significa riconoscere che la conoscenza non si esaurisce nelle risposte immediate e che la comprensione richiede tempo, confronto, approfondimento. In un contesto in cui tutti sembrano avere qualcosa da dire, il silenzio critico di chi osserva e riflette ha un valore raro.

Il pensiero socratico, fondato sulla “inquietudine” del sapere, rappresenta ancora oggi una bussola indispensabile. In un panorama informativo che premia la velocità e l’apparenza, riscoprire il valore del dubbio è un esercizio di resistenza intellettuale.

Perché il vero sapere non è mai una certezza, ma una domanda ben posta.

Gianluca Cobucci

La sua vita è cambiata quando ha letto una frase di William Edwards Deming: "Senza dati sei solo un'altra persona con un'opinione". Da quel momento ha iniziato a leggere e approfondire perché ha fame di conoscenza. Sa a memoria "Il Silmarillion" e cerca di diventare uno Jedi.

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