Gotham: da grandi premesse derivano grandi responsabilità

Sì, lo abbiamo fatto: abbiamo visto il pilota di Gotham. E dopo tutta l’attesa che hanno creato intorno alla serie, mi sembrava il minimo. Cominciamo subito col dire che è un buon inizio, con punti buoni e alcuni meno buoni. Serie promettente, ma perfettibile.
E ora vi dico il perché.

 
POSSIBILI SPOILER: CONTINUATE LA LETTURA SE AVETE VISTO L’EPISODIO
 
Cominciamo ovviamente dall’inizio: la scena iniziale ci mostra una ragazzina agile che svolazza fra i tetti, ruba un portafoglio e del latte da dare ai gatti. Sì, l’abbiamo capito, è Selina Kyle, futura Catwoman. È tutto molto bello, ma la domanda non è “chi è?”, la domanda è “perché?”. Già perché inserire così questo personaggio? È una domanda che possiamo fare per gran parte dei personaggi presenti in questo pilot.
Durante l’episodio vediamo apparire, oltre a Selina Kyle anche Oswald Cobblepot detto Pinguino, Edward Nigma che diventerà l’Enigmista e una piccola Ivy dal pollice verde che poi diventerà Poison. Tutti personaggi presentati brevemente, e del tutto ininfluenti (Pinguino a parte) nella trama di questo episodio. Anche la scelta di inserire Cobblepot come elemento attivo di questa trama è relativa: poteva essere chiunque, è stato messo il Pinguino, va bene, ok…
L’impressione che si ha, analizzando la presenza di tutta questa gente, è che chi ha scritto il pilota era così preoccupato di ricevere l’approvazione dei fan di Batman che ha preferito strizzargli l’occhio di continuo inserendo personaggi dell’universo del Cavaliere Oscuro, così che almeno una buona parte del pubblico potesse vederli e “trastullarsi” pensando a opere future. Pensate a Selina Kyle: che ci sia o meno, l’episodio resta uguale.
Siamo di nuovo all’”impepate de’ cozze” in stile sceneggiatori di Boris.
 
Promossa invece la ricostruzione di Gotham. La città somiglia tanto a New York (com’è giusto che sia), piove spesso e non si vede praticamente mai il sole. A dire il vero si poteva spingere di più su questa impostazione, con una fotografia dai toni più cupi, ma anche così il risultato è accettabile.

Finalmente Ryan Atwood è diventato un fumetto. Erano anni che aspettavo questo momento.
 

Andiamo adesso ai due protagonisti: Jim Gordon e Harvey Bullock, interpretati rispettivamente da Ben McKenzie (sì, Ryan Atwood di The O.C.) e Donald Logue. Superato il pregiudizio, soprattutto nei confronti di Ryan Atwood, ti rendi conto che gli attori stanno bene nei ruoli. Su questo però abbiamo una domanda: perché si è voluto usare Harvey Bullock invece di Arnold John Fless?
Questo ci porta ad una domanda superiore: quanto avrà da spartire questo telefilm con le vicende narrate da Frank Miller in “Batman: Anno Uno”? Infatti, lì è Flass a fare da partner scomodo a Jim Gordon.
Se vuoi parlare dell’arrivo di Gordon a Gotham, Frank Miller ti ha scritto cose buone; perché non sfruttarne un po’?
Ad ogni modo, la differenza fra Gordon e Bullock è evidente, e fa risaltare la situazione melmosa nella quale Gotham sguazza: collusione corruzione sono ovunque, e tutti non fanno altro che far pesare al giovane Jim il fatto di essere un novellino che non conosce le abitudini del posto. Punto a favore: è esattamente così che deve apparire.
 
E poi c’è una cosa che mi ha fatto del male fisico: perché Alfred parla in quel modo? È forse un maggiordomo del ghetto? A Gordon, la prima volta che lo vede, dice “Buona fortuna, amico”. Eh?! “Signorino Bruce, porti il suo dannato culo quaggiù!” COSA?! Ma una cosa del genere non si è mai vista nemmeno in BatRoberto!BatRoberto: chicca per veri intenditori.

 
Insomma, le attese erano altissime, il risultato non è così alto. Ma il potenziale c’è: grandi cattivi ancora in erba, una storia tutta da raccontare, una città che è il palcoscenico ideale, con la possibilità di attingere più o meno sporadicamente alle trame introdotte da un genio del genere. Tutto questo da costruire su un impianto di base – le dinamiche Gordon-Bullock in una Gotham City azzeccata – che sembra già pronta.
Non deludeteci più. C’è già bastato Smallville…

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Mario Iaquinta

Nato da sua madre “dritto pe’ dritto” circa un quarto di secolo fa, passa i suoi anni a maledire il comunissimo nome che ha ricevuto in dote. Tuttavia, ringrazia il cielo di non avere Rossi come cognome, altrimenti la sua firma apparirebbe in ogni pubblicità dell’8×1000. Dopo questa epifania impara a leggere e scrivere e con queste attività riempie i suoi giorni, legge cose serie ma scrive fesserie: le sue storie e i suoi articoli sono la migliore dimostrazione di ciò. In tutto questo trova anche il tempo di parlare al microfono di una web-radio per potersi spacciare per persona intelligente senza però far vedere la sua faccia. Il soprannome “Gomez” è il regalo di un amico, nomignolo nato il giorno in cui decise di farsi crescere dei ridicoli baffetti. Ridicoli, certo, ma anche tremendamente sexy, if you know what I mean…
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