Già dal nome si può capire molto, ma preparatevi a leggere di qualcosa davvero inumano. Era fine degli ani ’60 e uno scienziato, Harry Harlow, mise a punto un esperimento che più che altro sembrava essere un macchinario per le torture. Lo studioso, rinomato psicologo, tentava di comprendere le depressione attraverso l’osservazione di comportamenti indotti in scimmie isolate in condizioni estreme. Ecco come è andata a finire.
La controversa ricerca di Harlow sul legame e la depressione
Il suo “Pozzo della Disperazione” (questo il nome dato all’esperimento) era un cono verticale in acciaio inox, con un pavimento di rete metallica, progettato per isolare completamente le scimmie e indurre stati di disperazione simili alla depressione umana. L’obiettivo da lui dichiarato era di creare un modello animale di depressione per esplorare trattamenti potenziali, ma i risultati furono tanto scioccanti quanto discutibili.
Le scimmie, lasciate isolate per settimane, cadevano in stati di apatia, noia e disperazione, dimostrando quanto profondamente l’isolamento e la mancanza di stimoli affettivi e sociali potessero impattare sul comportamento. Anche dopo essere state rimosse dal dispositivo, mostravano difficoltà significative nel riprendere normali interazioni sociali, suggerendo danni psicologici a lungo termine. Questi esperimenti sollevarono immediatamente questioni etiche riguardo alla sofferenza inflitta agli animali in nome della scienza.
Nonostante le critiche, il lavoro di Harlow ebbe un impatto duraturo sulla comprensione del bisogno di affetto nei primi anni di vita e sull’importanza delle cure parentali. Prima di lui, era diffusa l’idea che i genitori dovessero mantenere una certa distanza emotiva dai propri figli. Harlow, con i suoi studi sull’attaccamento, dimostrò invece l’importanza fondamentale dell’affetto e della vicinanza fisica per lo sviluppo cognitivo e sociale.
L’esperimento del pozzo della disperazione simboleggia un punto di svolta nella riflessione sull’etica della ricerca. Mentre oggi studi simili sarebbero difficilmente approvati dai comitati etici, la sperimentazione animale rimane una pratica diffusa, sollevando interrogativi (ormai senza tempo) sull’equilibrio tra il progresso scientifico e il benessere degli esseri senzienti.
Secondo voi la sperimentazione sugli esseri viventi è ancora l’unico modo efficace (seppur non l’unico) per testare l’efficacia di una terapia o un medicinale?
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