Il trentesimo anno – Il tarlo

Sinceramente non riesco a dare a questo libro più di 2/5. E questo perchè io sono una capra ignorante, ne sono più che convinto. E’ che io sono venuto giù dalle montagne e mi piace leggere una prosa semplice. Non che disprezzi lo stile di “Il trentesimo anno”, assolutamente. Ma quando il livello di complessità aumenta eccessivamente ed il significato sfuma dietro un insieme di parole il cui unico fine – almeno apparentemente – è la sonorità… allora comincio ad avere qualche problema.

“Il trentesimo anno” è un esercizio di stile o un libro?

Lo stile di “Il trentesimo anno” è elevato, elaborato, piacevole e scorrevole per lunghi tratti. Poi improvvisamente c’è uno sconfinamento nell evocativo e nell eccesso di visionarietà che rende difficile tenere il filo del discorso ed a volte persino comprendere il senso della frase. Grande e frequente uso della metafora, usata come strumento letterario ma a volte come vera e propria arma per introdurre scene, immagini, impressioni nel lettore. Se sono riuscito a comprendere il tema portante ed il significato di questo insieme di racconti, si parla di vita e confusione. Di come nella vita si cambi e comunque si sia perfettamente in grado, lungo tutto l’arco della propria esistenza, di non avere le idee chiare. Di come rovesci repentini di situazioni possano accadere e di come non siano così improbabili come si può pensare. Di come idee chiare, limpide e decise possano essere sostituite da altre opposte, o da incertezze. E da come tutto ciò che è umano sia avvolto nella nebbia in cui ognuno di noi vive, la nebbia di sè.

“Il trentesimo anno” è un libro sul cambiamento continuo

A questo si aggiunge un altro tema: molti di questi personaggi non solo sono confusi ma anche indecisi, irrisolti. Spesso cambiano idea ma non hanno il coraggio di cambiare le cose, il mondo attorno a loro per riflettere questo loro cambiamento d’opinione. Lasciano correre, sopportano, subiscono lo status quo. Insomma si sente l’influenza di Svevo sulla tematica del mal di vivere e dell’inettitudine, ma con uno stile più pesante di quello di Svevo. Interessante invece un ragionamento, contenuto in un racconto, sul valore e sulla labilità della concezione di vero e verità.

In conclusione, il contenuto è un pò latitante e lo stile… va a gusti, ma a me non è piaciuto particolarmente. Del resto non adoro gli impressionisti in pittura, il che dovrebbe inquadrare la mia visione della bellezza nell’arte: fedele ritratto del vero in pittura e sapiente scelta della parola massimamente definente o significativa nel testo scritto. L’Ulisse di Joyce è durato 5 pagine prima di essere abbandonato, mi perdonerete se ho fatto fatica ad arrivare in fondo a questo.

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Joliet Jake

Nato in una assolata e ridente (?) valle ai confini con la Svizzera, Joliet Jake sfruttò, dalla nascita, questo profluvio di orologi e cioccolato per la sua crescita. Un’errata proporzione nel mix ottenne lo straordinario risultato di farlo arrivare sempre in ritardo e di dipendere dal cioccolato per la propria sopravvivenza. Informatico per passione, ha molti interessi e mirabilmente riesce a fallire in tutto in modo omogeneo. Autore di testi di vario genere per formazione e velleità, si prodiga nella redazione di castronerie astrali. Vi conviene leggere i suoi scritti prima che scompaia ed il suo genio venga riconosciuto postumamente da archeologi in cerca di reliquie letterarie(digitali) di alto lirismo. Che però saranno convinti che la lingua dei testi sia il turcomanno antico.
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