Uno degli attori di Bollywood più amati e talentuosi ci ha lasciati oggi. Irrfan Khan aveva annunciato nel 2018 di avere una forma aggressiva di tumore neuroendocrino, una battaglia che lo ha stremato per due anni, fino alla tragica dipartita.
Irrfan Khan era diventato noto al pubblico internazionale grazie a ruoli di rilievo in Il treno per Darjeeling e The Millionaire, ma era già un attore molto popolare in India, il suo Paese natale. La sua carriera è sempre stata in velocissima ascesa, ottenendo successo nelle sue interpretazioni in film importanti come Vita di Pi e Jurassic World.
Addio Irrfan Khan
Khan è venuto a mancare dopo essere stato ricoverato per una forma di infezione al colon pochi giorni fa. Consapevole della gravità della sua malattia aveva scritto una lunga lettera, di cui vi riportiamo il testo integrale tradotto in italiano, e salutiamo con un doloroso addio uno degli attori che aveva reso grande il cinema indiano e quello internazionale.
È da un po’ di tempo ormai che mi hanno diagnosticato un grave cancro neuroendocrino.
– Irrfan Khan
Questo nuovo termine del mio vocabolario, ho scoperto, è raro e, a causa dei pochi casi di studio e delle ancor minori informazioni comparabili, l’imprevedibilità del trattamento era grande. Ero parte di un gioco che avanzava a tentativi.
Prima ero in un altro gioco: viaggiavo su un treno rapido, avevo sogni, piani, aspirazioni, obiettivi da cui ero totalmente assorbito. All’improvviso, qualcuno mi tocca la spalla e mi volto per vedere chi sia. È il controllore: “La sua destinazione è quasi giunta. Per favore, scenda”.
Sono confuso: “No, No, la mia destinazione è ancora lontana”; “No, è questa. È così, a volte”.
La subitaneità della cosa mi ha fatto realizzare come tu sia solo un tappo di sughero che fluttua nell’oceano in balia di correnti imprevedibili! E intanto cerchi disperatamente di controllare la rotta.
In tutto questo caos, sconvolto, spaventato e in preda al panico, durante una delle terrificanti visite in ospedale, ho mugugnato a mio figlio: “L’unica cosa che voglio da me è di non affrontare questa crisi in questo stato. Devo assolutamente stare in piedi. La paura e il panico non dovrebbero schiacciarmi e rendermi debole”.
Quella era la mia intenzione. POI È ARRIVATO IL DOLORE. Come se fino a quel momento tu avessi solo fatto la conoscenza del dolore, ma ora conoscessi la sua natura e la sua intensità. Nulla funzionava: nessuna consolazione, nessuna motivazione. L’intero cosmo diventa una cosa sola in quel momento: solo dolore. E il dolore era così tanto più enorme di Dio.
Mentre entravo in ospedale – prosciugato, sfinito, svogliato – realizzai a malapena che si trovava di fronte al Lord’s, lo stadio di cricket: la Mecca dei miei sogni di bambino. In mezzo al dolore ho visto la gigantografia di un sorridente Viv Richards [giocatore di cricket, ndt]. Non accadde nulla, come se quel mondo non mi fosse mai appartenuto.
Questo ospedale ha anche un reparto di terapia intensiva. Una volta, mentre ero sul balcone della mia camera d’ospedale, questa peculiarità mi colpì. Tra il gioco della vita e quello della morte non c’è che una strada. Da una parte un ospedale, dall’altra uno stadio. Come se nessuno dei due potesse essere una certezza definitiva – né l’ospedale, né lo stadio. Fu una rivelazione.
Rimasi in balia dell’immenso effetto dell’enorme potenza e intelligenza del cosmo. La peculiarità della posizione del MIO ospedale mi colpì. L’unica certezza era l’incertezza. Ciò che potevo fare era comprendere la mia forza e giocare al meglio la mia partita.
Questa realizzazione mi ha fatto cedere, arrendere e confidare, a prescindere da dove sarei finito tra otto mesi, quattro mesi, due anni. Le preoccupazioni sono andate in secondo piano e hanno iniziato a svanire per poi uscire dalla mia mente.
Per la prima volta ho capito cosa significhi davvero “libertà”. È stato come raggiungere un traguardo, come se stessi assaggiando la vita per la prima volta, col suo lato magico. La mia fiducia nell’intelligenza del cosmo divenne assoluta. È come se fosse penetrata in ogni mia cellula.
Il tempo dirà se mi sentirò sempre così, ma è così che mi sento ora.
Durante il mio viaggio la gente mi ha augurato il meglio, ha pregato per me in tutto il mondo. Persone che conosco e persone che non conosco nemmeno. Pregavano da posti diversi, in momenti diversi e io sento che le loro preghiere diventano UNA sola. Una grande forza, come una corrente, che entra in me attraverso la spiina dorsale e germoglia nella mia testa.
Germoglia – a volte un bocciolo, una foglia, un rametto, un virgulto. Lo guardo e ne traggo giovamento.
Ogni fiore, ogni ramo, ogni foglia che sia nata da quelle preghiere: ognuna di esse mi riempie di meraviglia, felicità e curiosità.
La realizzazione di come il tappo di sughero non abbia bisogno di dominare la corrente. La realizzazione di come tu sia dolcemente dondolato nella culla della vita.
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