Inoccupati, precari, demotivati, pressati da requisiti richiesti infiniti e spesso inconciliabili – del tipo: lunga esperienza nel settore, master di II livello ed età inferiore ai 20 anni! – ecco la situazione di tantissimi giovani italiani del nuovo millennio – appartenenti ad una fascia d’età imprecisata e imprecisabile, visto che la stessa sorte tocca ad una scala generazionale che abbraccia destini classe ’80 fino ai giovanissimi che in lire hanno acquistato giusto il ciucciotto per loro stessi! Si aggiunga a ciò il “frastornante” coro a più voci (che spesso provengono dalle medesime bocche di genitori stanchi e politici comodamente seduti in salotti televisivi) che si divide fra la “matura” e “realista” spinta a tenere i piedi per terra e rispondere alla necessità di adattarsi a far quel che capita – fermo restando chiaramente il fatto che il lavoro non è mai umiliante e questo, cari “adulti”, dormite pure tranquilli, lo sappiamo benissimo! – e l’esortazione – di chiara derivazione Maria De Filippesca – a coltivare i propri talenti, inclinazioni ed ambire alla realizzazione delle proprie aspirazioni, non rinunciando mai ai propri sogni! E poi dicono che le nuove generazioni non hanno le idee chiare!
Sopravvissuti però al destabilizzante modello educativo trasmesso da genitori, politica e media, potevano mai i giovani essere almeno lasciati in pace a lavorar di meningi per cercare una strada? No di certo! Perché il danno, si sa, ama la compagnia della beffa, così, come se non bastasse, ai malcapitati italiani nati nel belpaese quando le risorse che i loro stessi genitori – o nonni – hanno prodotto durante il boom economico erano ormai estinte – e non è questo il luogo di stare ad indagare chi ne sia realmente responsabile – tali italiani dicevo, oltre alla mancanza di sbocchi occupazionali, oltre alla garanzia di far parte del gruppo dei poveri del futuro, gruppo che si preannuncia abbastanza folto, oltre alla frustrazione di anni passati sui libri per essere in fine, dismessa la corona d’alloro appassita, derisi dagli ironici ma chi te l’ha fatto fare? e via discorrendo, si sono visti appiccicare addosso anche una simpatica e affettuosa etichetta, attraverso cui la beffa, non accontentandosi di parlare attraverso contraddittori consigli, come uno spettro dal discutibile humor, entra nei corpi dei restanti italiani non toccati dalla medesima sorte e servendosi della loro bocca, esprime in un’unica parola, tutta la spietata ironia che prova nell’osservarli lanciando un neologismo che apostrofa disoccupati, inoccupati, chi ha un lavoro precario e destabilizzati giovani rassegnati a non conoscere mai cosa voglia dire “pensione” attraverso un aggettivo che, con abile mossa diplomatica, sposta le responsabilità sulle vittime stesse… I bamboccioni!
Morsi però forse da un residuo di coscienza e senso del rispetto della dignità altrui, oggi i più preferiscono usare, in luogo della vecchia e infelice (e umiliante!) espressione il neonato acronimo NEET ( “not (engaged) in education, employment or training) in modo che la consolidata – e sopravvissuta – abitudine di una certa politica italiana di giocare al rimpallo di responsabilità che, se con la precedente espressione le gettava spudoratamente e apertamente tutte sul giovane disoccupato e senza speranze (responsabilità che pure esistono certo, ma che non sono esclusive dei giovani stessi), oggi, dietro la sigla che fa anche tendenza – visto il fascino delle espressioni anglosassoni – riesce elegantemente a nascondersi esprimendo insieme un timido tentativo di tornare sui propri passi tipico di chi forse ha capito di esserci andato un po’ pesante con le illazioni, nascondendo il proprio pentimento e mettendo al riparo le proprie responsabilità dello stato occupazionale odierno dietro uno pseudo-eufemismo che dal precedente colpevolizzare passa ad un apparentemente più paternalistico atteggiamento di compassione – Della serie: di male in peggio! –
Ok, liberatami dai sassolini aguzzi – che facevano non poco male anche nei sandali estivi! – (ma in fondo uno degli aspetti che fanno svisceratamente amare la scrittura sta proprio nel suo potere CATARTICO!) e sperando che la mia analisi sia sbagliata e che in realtà la politica sta cominciando a capire che il fenomeno è – giusto un tantino – seriamente preoccupante, vorrei mettervi a conoscenza dell’esistenza di temerari italiani che dal suolo della bella e perigliosa penisola tentano in tutti i modi di non abbandonarsi alla non produttiva (ed autodistruttiva) inattività – dei “colleghi” insomma visto che il periodico che avete intelligentemente scelto di leggere (complimenti! XD!) altro non è se non uno di questi temerari tentativi di invertire la rotta!
E allora partendo dall’idea che una scialuppa da sola non riesca ad arrivare poi così lontano, ma che sicuramente più scialuppe, seppur piccole, possono aiutarsi l’un l’altra a raggiungere la meta desiderata – sperando che all’arrivo non chiudano le frontiere… Ma questa è un’altra triste storia – ho deciso di presentarvi un manipolo di gente in gamba che ci sta egregiamente provando!
In un clima di avvilimento pericolosamente tendente alla disperazione, dopo un periodo di torpore provocato dalla intossicazione da un’aria irrespirabile di sensi di colpa e sfiducia nelle proprie capacità, non pochi bamboccioni, spinti da un desiderio crescente di rivalsa del proprio orgoglio ferito, recuperando l’italico intelletto fine e ingegnoso, hanno deciso di tornare a provarci!
Con tanta grinta e muniti di quel pizzico di audacia che serve a chi, dal nulla e con ridotti mezzi tenta di mettere su qualcosa di costruttivo e importante, provano a creare e diffondere cultura in un tempo in cui di norma si preferisce acquistare prodotti esteri e lasciare la bellezza e il valore del made in Italy alle intemperie dell’indifferenza!
Tra le varie (e fortunatamente non sono poche) iniziative, lodevoli e spesso di altissimo valore culturale, di quanti – pur consapevoli del fatto che mai forse sarà loro concesso un mutuo, almeno in questa vita! – si impegnano affinché i loro cervelli non si atrofizzino, vorrei presentarvene una che, a mio avviso, ha tutte le carte in regola per passare un giorno, dalla bottega al grande edificio!
Un piccolo gruppo di anime freelancer dedicano, da varie parti d’Italia le loro competenze, il loro tempo e lavoro alla traduzione perlopiù di opere non ancora tradotte in Italia – eccetto la stessa fondatrice del progetto ed altri membri che pur dopo aver operato la famosa fuga del cervello, continuano a lavorare dall’estero anche con e per l’Italia, in omaggio a quello spirito romantico che ci fa, nonostante tutto, sentire ancora orgogliosi di provenire dallo Stivale!
Nasce così, qualche anno fa, una piccolissima “community” totalmente autofinanziata di traduttori che, in poco tempo e con gran fatica e sacrifici – a dispetto di quanti credono alla favola dei bamboccioni spalmati sui divani di mamma e papà a far nulla! – riesce ad andare avanti e a crescere, pian piano sì, viste le difficoltà che ha coinvolto nella crisi economica – ahinoi! – anche il mondo dell’editoria italiana e dato il preconcetto che le grandi case editrici spesso – ahinoi di nuovo! – nutrono nei confronti di nomi ancora poco noti – giusto per inciso, domanda: come si fa a “crearsi un nome” se non ti vien data mai l’opportunità di far conoscere il tuo valore proprio perché “non hai ancora un nome”?… Italiche contraddizioni!
Il progetto è stato messo in piedi da Annarita Tranfici, giovanissima napoletana – e neo-mamma! –
Una vera e propria “compagnia di traduzione”! Il novero dei membri ammonta oggi ad una quarantina circa che riescono a coprire ormai quasi tutte le esigenze di trasposizioni linguistiche.
Un gruppo giovane, appassionato, professionale e serio mette a disposizione del panorama letterario italiano il proprio impegno affinché possano arrivare sugli scaffali delle librerie di casa nostra, autentici capolavori della letteratura straniera tradotti nella nostra lingua in self publishing.
Il lavoro del traduttore, si sa, è un lavoro di grande impegno e responsabilità e molto spesso poco considerato – a volte anche graficamente è chiara la scarsa considerazione nei confronti di colui senza il quale non avremmo mai potuto leggere quell’opera che ci è tanto piaciuta o che era in programma ad un esame o grazie alla quale abbiamo potuto scrivere la nostra stessa tesi! Spesso infatti il nome del traduttore è scritto in un carattere minuscolo rispetto a quello dell’autore e il lettore distratto neppure si accorge di chi, con un lungo lavoro interamente svolto dietro le quinte, ha reso possibile quella gentile metamorfosi che gli consente di leggere il suo Dostoevskij comodamente nella sua lingua natale!
Diamo dunque a Cesare quel che è di Cesare e non dimentichiamo di ringraziare la generosità – perché ogni lavoro culturalmente rilevante è oltretutto un atto di generosità! – di chi svolge un servizio affinché la cultura mondiale possa essere letta e conosciuta da tutti, in ogni parte del globo!
I componenti della community immensamente gentili, sono disponibili a spunti e consigli da parte dei lettori, invito dunque chiunque ami la letteratura straniera di andare a far loro una visita, (vi lascio il link ai piedi dell’articolo!).
Da lettrice, scrittrice e italiana mi sento davvero in dovere di lanciare un sentito grazie ad Annarita e ai suoi colleghi e collaboratori che con la loro Bottega dei traduttori dimostrano,ancora oggi, nel difficile periodo storico del terzo millennio, che proprio nelle più piccole botteghe possono nascere i più pregiati ed inimitabili prodotti dell’artigianato firmato Italia!
Luisa De Vita
https//www.labottegadeitraduttori.it/
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