C’era una volta una piccola biblioteca di paese, situata in un antico palazzo settecentesco del centro storico. Era anche ben fornita, se prendiamo in considerazione i parametri con cui le amministrazioni comunali ritagliano dei fondi per le attività socio-culturali. Nella sala centrale si ergeva possente la statua in marmo del dedicatario della struttura, noto poeta locale del tutto ignorato dal resto dei centri limitrofi, per non parlare delle diramazioni che più contano, quindi a livello provinciale e nazionale.
Tutto il patrimonio librario della struttura era ben custodito in scaffali di legno di ciliegio, accuratamente riparati dalle vetrinette. Nella sala più nascosta erano custoditi i fondi – due o tre – appartenuti alle famiglie da bene della piccola cittadina, che continuavano a far risplendere il proprio nome nella struttura simbolo di cultura per antonomasia.
Fin qui nulla di nuovo o di strano, ma proseguiamo nella descrizione.
Se tu visitatore, decidessi di recarti in questa biblioteca, anche semplicemente per curiosare, per prendere visione del materiale custodito e magari di far ritorno a casa con qualche bel classico da leggere a letto per conciliare il sonno, potrai vivere alcune inaspettate sorprese.
In primis non è detto che la struttura rispetti i giorni e le ore di apertura al pubblico. Ma poi, dopo tutto, cosa si può pretendere da una piccola biblioteca dalla scarsissima utenza settimanale, non certo che il personale stia ai tuoi comodi e perda ore e ore della sua giornata per attendere che tu decida di recarti a consultare qualche volume! C’è da comprare il pane e il latte fresco, poi bisogna passare dal macellaio di fiducia – che aveva garantito di conservare quel certo taglio di manzo, così tenero e rosato, al massimo entro le undici del mattino!
Se la fortuna è dalla tua parte e sei riuscito a captare le ore in cui è possibile trovare qualche addetto alla catalogazione (cartacea) o responsabile di qualche sportello linguistico, beh, il gioco è fatto: puoi visitare la struttura ed eventualmente portare a casa il malloppo!
Nella sala centrale, adibita alla consultazione del materiale, troverai una signora di oltre sessant’anni, di bassa statura, capelli corti e rossicci, tozza e un tantino corpulenta, vestita secondo l’usanza delle donne in carriera dei piccoli paesi di provincia: gonna di lana e calze ricamate ultracoprenti, golfino a collo alto di lana (possibilmente angora), foulard annodato attorno al collo (che generalmente rappresenta l’indumento più costoso dell’intero outfit), scarpa a decolleté con punta rotonda e tacco comodo, ondata di profumo da mozzare il fiato (nel vero senso della parola – quasi sempre si è soffocati da Chanel n°5 o, nel caso in cui il flacone sia terminato e la donna sia in attesa del prossimo regalo natalizio/ pasquale, dalle note di Cacharel pour femme).
Troverai questa signora nei mesi invernali, a causa dello scarso impianto di riscaldamento con cui è attrezzata la struttura, quasi sempre in posizione “fetale”, rannicchiata su una piccola sediolina di legno, intenta ad accaparrare tutti i raggi emanati dalla stufetta alogena o termoventilata portata da casa.
E nel momento in cui dirai: “Buongiorno, è permesso?”, lei distoglierà lo sguardo dalla Settimana Enigmistica, abbasserà gli occhiali facendoli cadere sul petto a mo’ di collana e risponderà a sua volta: “Buongiorno!”.
Sì, hai letto bene, in una biblioteca che brulica di libri lei sta compilando una Settimana Enigmistica – che, per carità, è pur sempre un’attività che mette in funzione i neuroni, ma che generalmente è l’ultimo degli svaghi e delle occupazioni che immagini possa avere una persona impiegata all’interno di una struttura di diffusione culturale.
Torniamo però alla nostra donnina. Non si presenterà, dando per scontato che dal momento che esercita la sua professione all’interno di un luogo così da bene, sicuramente tu sarai informato su chi ella sia e su come sia composta tutta la sua stirpe. Se per tua sfortuna sei residente in loco, allora armati di santa pazienza: ti chiederà nome e cognome dei tuoi genitori, e anche nel caso in cui le fossero sconosciuti stai tranquillo, ti interrogherà fino alla terza generazione di comparaggio e capirà se i tuoi natali sono degni della sua attenzione – oppure potrà se dovrà trattarti distrattamente e in maniera approssimativa, visto che non rientri nella sua cerchia di F.O.P.D.Q.C.C. (acrostico per: figlio o parente di qualcuno che conta).
Nel caso in cui chiedessi alla signora addetta di poter prendere visione del catalogo OPAC, ti lancerà un’occhiata malefica come se avessi appena proferito un orribile turpiloquio da scontare con almeno dieci Ave Maria. Dopo averlo comunemente denominato come catalogo elettronico, ti dirà che non esiste ancora, che la struttura offre al momento la semplice catalogazione cartacea, ma che sfortunatamente, visto che sei capitato mentre la direttrice responsabile è momentaneamente assente (chissà perché, ma non vogliamo neppure saperlo), non è possibile consultare neanche quello.
Lei potrà comunque aiutarti proferendo le seguenti parole: “Gioia mia la cosa è semplicissima, tu scrivi i titoli dei libri che conosci e che potrebbero interessarti, e se vuoi fare una ricerca più approfondita scrivi dei temi chiave, così poi noi ti elenchiamo tutto il materiale posseduto dalla biblioteca e alla fine farai una cernita!”. Il discorso tende ad assumere un tono alquanto elevato nel momento in cui la vecchina pronuncia il termine “cernita”, quasi a monito per te visitatore che, fino a pochi istanti prima, non credevi che lei potesse tranquillamente sfoggiare le sue proprietà di linguaggio. Non soddisfatta la nostra consulente riprende il discorso e ti ricorda che: “se invece hai già il titolo del libro a portata di mano ma sfortunatamente questo non è presente nella nostra struttura non preoccuparti, esiste il prestito interbibliotecario”.
Per quanto ti è possibile cerchi di non spalancare la bocca dallo stupore, e ti maledici da solo per l’idea che hai avuto – e portato a compimento – di visitare la biblioteca del paese. Cosa ancor peggiore, ti rendi conto che la signora davanti a te, oltre a non parlare un italiano corretto, ha volutamente fatto un giro di parole pur di poter dire “cernita” e “prestito interbibliotecario” perché, trattandosi di termini per lei ostici, voleva poterli esibire in tua presenza, quasi ad ammonimento per te (anonimo utente) che non ti eri reso conto della serietà dei servizi offerti dal luogo!
Cosa resta da fare? Sospirare, e invidiare (purtroppo) il posto di lavoro immeritato della signora “Cernita”, dal momento che tu stai a zonzo con due lauree e un master e tenti concorsi, bandi, avvelenandoti l’animo sempre di più, sentendoti truffato fin dentro le midolla a sapere che un tempo bastava un diplomino generico per devastare una struttura pubblica. Cerchi di immaginare come lavoreresti tu al suo posto: nell’arco di secondi imprecisati ti passa davanti agli occhi un’intera carriera, seminari da organizzare, laboratori di lettura; hai anche due attimi di tempo per passare in rassegna l’outfit – il tuo! – da sfoggiare nel giorni di lavoro normali e durante gli eventi di una certa rinomanza; e poi ad un tratto ritorni sulla terra. La visione svanisce, la signora Cernita ti fissa con occhi soddisfatti, tu le auguri una buona giornata, dai un’ultima occhiata alle cataste di libri ancora da catalogare e ti avvii, con l’amaro in bocca, verso l’uscita.
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