Le analisi di alcuni dati provenienti dai satelliti in orbita intorno a Marte sembrano indicare l’esistenza di vita ora estinta sul pianeta rosso, ma altre analisi evidenziano il potenziale rischio di morte per chiunque permanga troppo a lungo in condizioni di micro-gravità.
La NASA, che vuole tornare stabilmente sulla Luna e intraprendere il viaggio verso Marte, si trova ora davanti a possibilità di vita da poter sfruttare ma, al contempo, anche di fronte a rischi di vita degli astronauti da tenere in dovuta considerazione, e seriamente e costantemente presenti in ogni missione di media durata.
Per comprendere di cosa stiamo parlando, ci inoltreremo nella news apparsa oggi sul sito ufficiale del Daily Express, di cui forniamo il link per una eventuale visione diretta.
Marte: la NASA analizza i rischi
La NASA ha recentemente scoperto che gli astronauti avrebbero rischiato che il loro sangue scorresse al contrario nelle missioni a lungo termine, mettendo così a rischio i viaggi umani su Marte.
Il rapporto della NASA, pubblicato mercoledì, suggerisce che gli astronauti avrebbero avuto significativi problemi di flusso sanguigno nella parte superiore del corpo, e come tali i risultati potrebbero avere importanti implicazioni per le future missioni su Marte. Che il volo spaziale sia duro per il corpo umano è un aspetto che è stato ben documentato per decenni, con la NASA ben consapevole dei danni che la ridotta gravità può apportare al fisico, che invece è strutturato per la gravità terrestre, uno fra i tanti possibili effetti è la perdita di massa dei muscoli e, per conseguenza di questo, le ossa possono risultare molto più fragili.
Ma il nuovo studio mostra un problema significativo legato ad un vaso sanguigno sul lato del collo che è responsabile del drenaggio del sangue dal viso, dal cervello e dal collo.
Nello studio sono stati esaminati 11 astronauti che sono rimasti sulla Stazione Spaziale Internazionale per una media di sei mesi. Sette di quelli esaminati hanno mostrato durante la valutazione ecografica che il loro sangue aveva ristagnato o invertito il flusso nella vena giugulare interna sinistra entro i 50i giorni delle rispettive missioni; è stato scoperto che uno di quelli valutati aveva sviluppato un coagulo in vena e che un coagulo parziale è stato rilevato in un’altra persona controllata dopo il loro ritorno sulla Terra.
È perciò interessante quanto Michael Stenger, direttore del Cardiovascular and Vision Laboratory presso il Johnson Space Center della NASA a Houston, e autore senior dello studio, ha dichiarato in merito:
non ci aspettavamo di vedere stasi e flusso inverso. Questo è molto anormale. Sulla Terra, sospetteresti immediatamente un massiccio blocco o un tumore o qualcosa del genere.
Ma Stenger ha affermato di essere, in realtà, più preoccupato per i membri dell’equipaggio che hanno sperimentato un flusso sanguigno stagnante in questo vaso sanguigno.
Come mai? Lo stesso Stenger ha aggiunto:
se quelle cellule del sangue non si muovono, iniziano ad attaccarsi l’una all’altra, ed avviene quello che definiamo un coagulo di sangue. Si corre lo stesso fattore di rischio di quando ti siedi su un aereo per troppo tempo e potresti ritrovarti ad avere dei coaguli nelle gambe.
Parlando dei rischi, il dott. Andrew Feinberg, professore di medicina presso la Johns Hopkins University School of Medicine, ha dichiarato:
è potenzialmente un problema serio. Se si forma un coagulo nella vena giugulare interna, questo coagulo potrebbe spostarsi verso i polmoni e causare un’embolia polmonare – è molto pericoloso. Se poi ciò accade in una missione a lungo termine, potrebbe essere disastroso.
Ma, come fa notare il Daily Express, i risultati di questo studio non rappresentano necessariamente ostacolo ai piani per i viaggi nello spazio, in quanto alcuni esperti hanno detto che questi risultati, alla fine, potrebbero portare allo sviluppo di trattamenti e interventi innovativi, risultando quindi addirittura come uno sprone per la ricerca.
Altre scoperte: i fossili
Passando dal rischio della vita nello spazio alla vita già estinta su Marte, vale la pena prestare attenzione ad una scoperta di tutt’altro genere avvenuta grazie al lavoro di ricercatori della Brown University nel Rhode Island;
uno di loro, Jesse Tarnas, studente di dottorato e autore principale dello studio, ha dichiarato:
utilizzando una tecnica che abbiamo sviluppato, che ci aiuta a trovare fasi minerali rare e difficili da rilevare nei dati prelevati dall’astronave in orbita, abbiamo trovato due affioramenti di silice idrata all’interno del cratere di Jezero.
Per chi volesse saperne di più, Wikipedia ci dice che Jezero è un cratere sulla superficie di Marte situato sul lato occidentale di Isidis Planitia. Questo cratere è destinato ad essere il sito di atterraggio della prossima missione del rover su Marte ed è stato trovato che contiene grandi quantità di silice idrata e carbonati.
Ma perché il rinvenimento di tali sostanze è importante?
La silice idrata è una forma di biossido di silicio che contiene una quantità variabile di acqua, mentre i carbonati sono sale di acido carbonico, caratterizzato dalla presenza dello ione carbonato, uno ione poliatomico con la formula di CO3²⁻.
La presenza, perciò, di silice idrata in abbondanza dà agli scienziati la convinzione che se dei fossili si trovano su Marte, molto probabilmente potrebbero essere trovati nel cratere.
L’elevata quantità di carbonati nel cratere, poi, fornisce le condizioni perfette per la sopravvivenza di strutture come conchiglie, coralli e microbi per miliardi di anni.
Ecco spiegato dunque il motivo per cui questi affioramenti forniranno obiettivi per l’imminente missione di esplorazione del rover in futuro, il quale dovrebbe sbarcare su Marte il 18 febbraio 2021, dopo di che inizierà a raccogliere campioni di nucleo di roccia sulla superficie marziana, in attesa di essere rispedito sulla Terra per essere analizzato durante una missione successiva.
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