Quando nel 1818 la ventenne Mary Shelley pubblicò il suo romanzo d’esordio, lo fa in forma anonima, senza rivelare di esserne l’autrice; era già stato difficile trovare una casa editrice che accettasse di dare alle stampe un’opera così controversa, e a causa del costume dell’epoca, era impensabile ammettere che fosse stata una donna a scrivere un libro del genere. I critici dettero addosso a Frankenstein e lo tacciarono di immoralità e di blasfemia; ma l’opera ebbe un successo tale che ne fu ordinata una ristampa, e su quella ristampa campeggiava un nome tanto noto quanto scomodo: Mary Shelley.
MARY SHELLEY: IL FEMMINISMO ATTIVO E IL DOLORE DI AMARE
Il tema dell’amore, amare ed essere amati, è un’ossessione che perseguiterà Mary per tutta la sua vita: la madre, la filosofa fondatrice del femminismo liberale Mary Wollstonecraft muore dieci giorni dopo il parto, e questo primo abbandono porterà la figlia a perseguire un ideale di vita completamente opposto a quello che la società le avrebbe imposto, nel nome di tutto ciò in cui credeva sua madre, che fin da bambina ha idealizzato come una figura quasi divina: fugge con un uomo sposato, vive vagabondando per l’Europa, ha un figlio al di fuori del matrimonio, la sua relazione con Percy Bysshe Shelley è aperta e travagliata, e tutto ciò che lei insegue da una vita-l’amore, la maternità, la libertà, la rendono sempre più invisa ed isolata dal resto della comunità.
Non credevo che tanta infelicità potesse nascere dall’amore.
- Mary Shelley, Matilda
Amore e morte vivono a stretto contatto in Mary, che, come dice la giornalista Patrizia Carrano, “È nata ed è vissuta nel sangue, e se è possibile usare una metafora squisitamente romantica, ha scritto con il sangue.”. La Morte le porta via la madre, una sorella, il marito, i figli (tutti, meno Percy Florence) e ogni figura importante della sua vita. L’amore, il suo ideale più importante e il catalizzatore di ogni suo istinto, la rende reietta e la costringe a vivere esclusa da ogni circolo sociale. Eppure, come il suo Mostro, la sua creatura più viva, Mary non si arrende. Scrive, vive, lotta per quello in cui crede, e difende il suo diritto alla libertà con ogni mezzo possibile. Non chiederà mai perdono per le sue scelte, e morirà dopo aver combattuto la sua malattia, accanto al figlio e alla nuora.
FRANKENSTEIN, DEMIURGO E DISTRUTTORE: L’OPERA ATTRAVERSO I SIMBOLI
Frankenstein è considerato il primo vero romanzo di fantascienza della Storia, ma è un opera che trascende i generi canonici per ergersi a capolavoro assoluto, e il tema del Moderno Prometeo continua ad ispirare l’arte in ogni sua espressione possibile.
In Frankenstein, è l’uomo (inteso come genere, non come razza) a farsi distruttore e creatura venefica, e l’unico personaggio dotato di buonsenso è Margaret Walton,una donna, la sorella del protagonista. Essa, pur non comparendo mai nel libro, cerca di riportare il fratello sulla retta via, e si fa portatrice di lucidità mentale in un contesto dove tutti hanno perso il lume della ragione.
Il Bene e il Male hanno sfumature molto sottili, nel libro: se nel Creatore riconosciamo facilmente un Dio folle e arrogante, che con la sua opera ha portato solo male nel mondo e poi la ha abbandonata a sé stessa, è difficile non provare pietà per la Creatura, che vittima di un mondo crudele e di una società che non lo accetterà mai, trasforma il proprio dolore in una rabbia cieca e furiosa, arrivando a uccidere e seminare terrore dietro di sé.
La morale è quasi completamente assente in quest’opera: né il Bene né il Male risultano vincitori, e ogni speranza di redenzione è perduta sia per il dottor Frankenstein che per il suo Mostro. Questa è la grandezza del libro: con amarezza, Mary Shelley riconosce che ogni ideale è vano, perché in un modo o nell’altro, la Vita te lo porterà via, e non esiste Provvidenza che possa essere salvifica o catartica.
I richiami alle correnti filosofiche che hanno ispirato l’autrice sono chiari lungo tutto il corso del libro: c’è molto del pensiero di Godwin, e anche di Shelley, ma c’è anche quasi un elogio a Rousseau, pensatore amatissimo dalla scrittrice di Frankstein.
Un’opera tetra, quasi autobiografica, che ha dato alla sua autrice imperitura fama, e alla letteratura mondiale un nuovo genere, e ha rivoluzionato in parte la morale dell’epoca: prima di Frankenstein, era impensabile poter scrivere un’opera così scabrosa, specialmente per una donna. Ma Mary Shelley, triste amante della Vita, è riuscita ad andare oltre la morale comune, e ad elevarsi come uno Spirito in grado di vedere la profonda verità delle cose, come la descrisse il marito.
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