“Il modo in cui si viene al mondo è irrilevante. E’ ciò che fai del dono della vita, che stabilisce chi sei.”
Con questa meravigliosa frase, ormai entrata negli annali e nell’immaginario di milioni di fan in tutto il globo, si chiudeva lo storico primo film dei mostriciattoli tascabili Nintendo. Uscito pochi mesi dopo l’inizio del nuovo millennio, Mew Contro Mewtwo è uno di quei lungometraggi animati capaci di segnare un’intera generazione.
Chi c’era, ricorderà le code interminabili fuori dai cinema, sotto lo sguardo indulgente dei nostri genitori, per accaparrarsi la leggendaria carta in edizione limitata di Mewtwo. E credo sia impossibile dimenticare il trauma della scena straziante in cui Pikachu tenta di rianimare Ash con una serie di scariche elettriche, al centro di un’arena avvolta dal silenzio, dopo che il suo allenatore si è sacrificato per interrompere la sanguinosa battaglia tra Mew e Mewtwo.
Parliamo di Mewtwo Strikes Back: Evolution.
Vent’anni dopo, Netflix rilascia sul mercato un remake in CGI 3D dal titolo (un po’ altisonante, diciamocelo) Mewtwo Strikes Back: Evolution. Per l’edizione italiana vengono richiamate tutte le voci originali, a cominciare da quella iconica di Mario Zucca, storico doppiatore di Mewtwo, una mossa che non potrà che far piacere ai fan più affezionati.
Il progetto è coraggioso, ma non privo di rischi, specie a fronte di un budget forse un pelo risicato. A farne le spese sono, ahimè, le animazioni dei personaggi umani che risultano meno convincenti rispetto a ciò che li circonda e all’indimenticabile stile in due dimensioni della pellicola originale.
La più grande novità introdotta da questo remake, diretto da Kunihiko Yuyama e Motonori Sakakibara, è una vera e propria storia di origini per Mewtwo, narrata in una breve sequenza introduttiva, davvero suggestiva, che ci mostra il ritrovamento da parte di alcuni scienziati del DNA del leggendario Mew. Peccato, perché ciò che viene dopo, la clonazione e lo sfruttamento di Mewtwo da parte del team Rocket, risulta meno efficace a causa di un design piuttosto pacchiano dell’armatura-prigione del Pokèmon e di un doppiaggio di Giovanni, il malvagio leader del gruppo, assolutamente non all’altezza.
Da quel momento in poi, tuttavia, il film decolla. Forte di un comparto tecnico che al netto dei difetti già citati, riesce a dare nuova vita ai Pokèmon di prima generazione in maniera particolarmente fluida, la vicenda ci trascina rapidamente a New Island, al cospetto di Mewtwo. Sebbene la trama sia fondamentalmente la stessa dell’originale, potersela godere in questa nuova veste è una vera gioia per gli occhi.
E, una volta giunti al climax del film, vi sfido a trattenere le lacrime di fronte al dolore di Pikachu e ai suoi lancinanti e ripetuti: “Chu!”, mentre tenta di risvegliare il suo migliore amico. Non manca neanche la celeberrima frase di redenzione di Mewtwo che ci guida verso la soddisfacente conclusione di un esperimento forse riuscito solo in parte, ma che dove conta ha saputo convogliare al meglio le emozioni dell’originale. E addirittura, nel caso della scena del pianto di Pikachu, a fare addirittura di meglio, complice un lavoro sugli effetti audio dei versi dei Pokèmon assolutamente magistrale.
Non ci resta che sperare che Netflix decida di regalarci una rivisitazione anche degli altri film sui Pokèmon di prima e seconda generazione, come La Forza di Uno o Pokèmon Forever.
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