La mitologia greca è ricca di storie sorprendenti e affascinanti. In molte occasioni, abbiamo abbiamo assistito all’ira degli Dei scatenatasi sugli uomini a causa di semplici gelosie. Tra queste leggende, il mito di Aracne è tra i più esemplari del comportamento non esattamente divino di alcuni abitanti dell’Olimpo. Aracne era una fanciulla che viveva in una piccola città della Lidia e la sua più grande dote era quella di tessere. In questo, era così ferrata al punto da insinuare di essere più brava della Dea Atena.
Anche la Dea era un’abile tessitrice e offesa dalle parole dell’umana, si presentò sotto le spoglie di una vecchia signora incitandola a ritirare la sfida. Ma Aracne, sicura delle sue potenzialità non si tirò indietro e rinnovò la provocazione.
Atena fu costretta a mostrarsi nelle sue vere sembianze e ad accettare. Poste l’una di fronte all’altra e munite di matasse, iniziarono a tessere le loro creazioni.
Atena raffigurò lei stessa in una delle sue abili imprese e mettendo in mostra i suoi poteri mentre Aracne rappresentò l’amore degli Dei, le loro colpe e gli inganni perpetrati da alcuni di loro.
La Dea dovette riconoscere la bravura della sua sfidante; l’opera di Aracne era di una bellezza tale che le forme sembravano uscire dalla tela. Così, in preda all’ira e all’invidia, picchiò la fanciulla e distrusse la tela che aveva creato.
La reazione di Atena fù tale da sconvolgere Aracne, la quale provò ad impiccarsi per l’umiliazione subita. Ma la Dea pensò che fosse stata una punizione troppo blanda e allora, decise di costringerla a tessere per il resto della sua vita e forzarla a vivere proprio sull’albero dove tentò il suicidio.
Non solo, la sembianze della fanciulla assunsero le spoglie di una creatura temuta e al tempo stesso, odiata dagli uomini: un ragno gigante. Una casualità con il suo nome di battesimo? Beh possiamo dire che la maledizione le calza a pennello.
Ovidio e il Mito di Aracne
Anche Ovidio, nelle sue opere, cita un passaggio di questa storia, in cui afferma:
… Non lo patì l’infelice: furente si strinse la gola con un capestro e restò penzoloni. Atena, commossa, la liberò, ma le disse: – Pur vivi o malvagia, e pendendo com’ora pendi. E perché ti tormenti nel tempo futuro, per la tua stirpe continui il castigo e pei tardi nepoti -. Poscia partendo la spruzza con sughi di magiche erbette: subito il crime toccato dal medicamento funesto cadde e col crine le caddero il naso e gli orecchi: divenne piccolo il capo e per tutte le membra si rimpicciolisce: l’esili dita s’attaccano, invece dei piedi, nei fianchi: ventre è quel tanto che resta, da cui vien traendo gli stami e, trasformata in un ragno, contesse la tela di un tempo.
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