Perché ci piacciono così tanto le trasformazioni nei racconti e negli anime?

Quando Goku è diventato Super Saiyan per la prima volta, ricordo di aver trattenuto il respiro e la pelle d’oca (beccatevi una bella disamina filosofica). Naruto che attinge per la prima volta al chakra di Kurama? Allo stesso modo. Quei momenti restano impressi più di qualsiasi battaglia: capelli dorati, aura esplosiva, un limite infranto. Le trasformazioni nei racconti catturano qualcosa che va oltre lo spettacolo visivo.

Cosa succede nella nostra testa quando qualcuno come un personaggio cambia forma ed evolve?

È innegabile che la metamorfosi di un personaggio scatena una risposta emotiva immediata. A livello psicologico, osserviamo la materializzazione di un desiderio universale: superare ciò che eravamo fino a un momento prima, diventare qualcosa di diverso.

Quando Ichigo in Bleach sblocca un nuovo potere o Naruto accede alla modalità Eremitica prima di combattere contro Pain, assistiamo a una metafora visiva della rinascita interiore.

La mente umana ama le soglie, i momenti di rottura. L’antropologo Arnold van Gennep ha teorizzato i “riti di passaggio” con le tre fasi: separazione, liminalità (la soglia), e reintegrazione. Lo stesso Carl Jung ha parlato di “individuazione” e trasformazione del sé attraverso archetipi.

Questi istanti condensano anni di crescita in pochi secondi carichi di significato. Il personaggio attraversa una crisi e ne emerge trasformato: è un pattern che riconosciamo perché rispecchia le nostre stesse esperienze di cambiamento, anche se meno spettacolari.

Esiste anche una componente catartica. Lo spettatore vive insieme al protagonista la liberazione dalla paura o dalla rabbia accumulata. Per un istante, quella forza diventa anche la nostra: diciamo la verità, chi non ha alzato le braccia al cielo quando Goku ha creato la sfera Genkidama?

La trasformazione accompagna l’umanità da sempre. Gli dei greci mutavano forma per comunicare con i mortali (Zeus diventava toro o cigno), gli sciamani siberiani si trasformavano spiritualmente in animali totem durante i rituali, Sigfrido acquisiva invulnerabilità bagnandosi nel sangue del drago.

Gli anime ripetono questo schema millenario: la morte del vecchio sé e l’emergere di uno nuovo. Ogni metamorfosi funziona come un rito di passaggio, una dichiarazione di identità che grida “non sono più quello di prima”. Spesso la trasformazione segue una sconfitta o una perdita dolorosa, basti pensare a Goku che si trasforma per la prima volta dopo la morte di Crilin.

Ed è proprio questa continuità attraverso i secoli spiega perché il meccanismo funziona ancora oggi. Le trasformazioni attingono a un repertorio simbolico condiviso, fatto di archetipi che parlano direttamente all’inconscio collettivo.

Le metamorfosi, infine, toccano un nervo scoperto: il nostro rapporto con il potenziale inespresso. Quando un personaggio libera la sua vera forma, materializza un desiderio profondo. Dietro ogni trasformazione si nasconde la fantasia di poter rivelare la nostra essenza senza filtri o maschere sociali. La forza che esplode sullo schermo diventa simbolo di autenticità.

Il personaggio smette di reprimersi, abbandona i limiti autoimposti e accetta ciò che è. Questo processo risuona perché tutti, in qualche misura, viviamo nascondendo parti di noi stessi. La trasformazione ci suggerisce che liberarle è possibile.

Le trasformazioni sopravvivono al passare delle mode narrative perché raccontano il cambiamento come esperienza universale. Ogni metamorfosi è una promessa: nulla resta immutabile, ogni crisi può diventare il punto di svolta verso una versione migliore di noi stessi. Forse è per questo che, quando un personaggio cambia forma, una piccola parte di noi si trasforma insieme a lui.





Gianluca Cobucci

La sua vita è cambiata quando ha letto una frase di William Edwards Deming: "Senza dati sei solo un'altra persona con un'opinione". Da quel momento ha iniziato a leggere e approfondire perché ha fame di conoscenza. Sa a memoria "Il Silmarillion" e cerca di diventare uno Jedi.
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