Un teschio sorridente con cappello di paglia sventola davanti al parlamento nepalese in fiamme. La stessa immagine appare sui balconi di Giacarta, nelle università filippine, nelle strade di Parigi. Il Jolly Roger dei Pirati di Cappello di Paglia ha abbandonato le pagine del manga per diventare vessillo di protesta.
Quando One Piece non è solo un manga, ma anche l’idea che lottando si può cambiare
Stiamo davvero parlando di quella bandiera. Quella di Rufy. Quella che probabilmente hai visto mille volte scrollando Crunchyroll o che magari hai pure come sfondo del telefono. Ed è finita sui telegiornali di mezzo mondo perché la Gen Z l’ha trasformata nel suo simbolo di ribellione preferito. Come diavolo è successo?
Chi ha letto One Piece sa benissimo di cosa stiamo parlando. Il Governo Mondiale di Oda non è esattamente impercettibile come villain: una struttura corrotta fino al midollo che protegge i Draghi Celesti (praticamente degli aristocratici intoccabili che possono ammazzare chiunque per sport) mentre usa la Marina per opprimere chiunque osi alzare la testa.
Suona familiare? Ecco, i giovani in Nepal, Indonesia e Filippine hanno pensato la stessa cosa.
Non serve nemmeno aver letto tutti i 1000 e più capitoli del manga per capire il messaggio. Basta una sola scena: quella di Enies Lobby. Quando Robin viene rapita e Spandam dice a Rufy che salvarla significa dichiarare guerra al mondo intero. E il pirata di gomma cosa fa? Ordina di bruciare quella bandiera simbolo di sicurezza e stabilità. Guerra dichiarata. Per salvare un compagno.

Ora, immaginate lo stesso effetto moltiplicato per milioni di ventenni arrabbiati con i loro governi. È quello che sta succedendo oggi, nel 2025.
Tutto è partito in Indonesia lo scorso luglio, e la cosa ha del geniale. Il presidente Prabowo Subianto chiede ai cittadini di esporre la bandiera nazionale per l’anniversario dell’indipendenza. Risposta della Gen Z indonesiana: issare la bandiera nazionale ma con accanto il Jolly Roger dei mugiwara.
Un venditore di Giacarta ha raccontato di aver venduto centinaia di bandiere pirata in pochi giorni. I politici indonesiani sono andati in panico, minacciando sanzioni legali. Risultato? Ancora più bandiere pirata ovunque.
Ma il momento più epico è arrivato in Nepal. Durante le proteste che hanno fatto cadere il governo, la bandiera di One Piece sventolava mentre il parlamento bruciava. Non è una metafora. C’era il palazzo in fiamme e il Jolly Roger sopra. Se Oda avesse scritto una scena del genere, gli avremmo detto che stava esagerando.
Dopo che il governo nepalese ha bloccato tutti i social network il 5 settembre (geniale mossa, proprio per non far arrabbiare le nuove generazioni), i manifestanti hanno iniziato a coordinarsi su Discord. Per chi non la conosce, è una piattaforma dove si organizzano i ragazzi per guardare live, organizzare partite online…e ora ci si ritrova lì ad organizzare rivoluzioni.
Ma è nelle Filippine che la situazione è ancora più assurda. Gli studenti protestano per i fondi delle alluvioni finiti in mano ad appaltatori fantasma, e mentre sventolano la bandiera pirata per strada, sui social hanno iniziato una campagna parallela: stalkerare gli account Instagram dei figli dei politici corrotti e commentare sotto le loro foto di yacht e Ferrari.

C’è qualcosa di intrinsecamente ironico nell’usare la proprietà intellettuale di Shueisha (una delle case editrici più grosse del Giappone) per fare la rivoluzione. One Piece è un franchise da miliardi di dollari. Netflix ci ha fatto una serie. Bandai ci stampa figure da 300 euro. Toei Animation ci campa da 25 anni.
I manifestanti stanno tecnicamente facendo pubblicità gratis a un prodotto commerciale mentre protestano contro il capitalismo.
Eppure…funziona? In un certo senso sì. Perché a differenza di simboli politici tradizionali che arrivano con tutto il bagaglio ideologico incorporato (e che dividono immediatamente le persone in fazioni), il Jolly Roger è sufficientemente neutro da essere riempito con qualsiasi significato. Per alcuni rappresenta l’anticapitalismo, per altri semplicemente il dito medio all’autorità locale.
Perché proprio One Piece
La domanda sorge spontanea: perché proprio One Piece? Ci sono manga più esplicitamente politici. L’Attacco dei Giganti è praticamente un trattato sul fascismo. Code Geass è letteralmente sulla ribellione contro un impero oppressore. Death Note solleva questioni etiche sulla giustizia. Eppure è il pirata di gomma con il cappello di paglia a diventare simbolo globale.
La risposta sta nei numeri e nella penetrazione culturale. Con 520 milioni di copie vendute, One Piece è il manga di un singolo autore più venduto della storia. Ma non è solo questione di numeri. One Piece è stato tradotto, ufficialmente e non, in praticamente ogni lingua esistente. È stato piratato (ironico vero?) e diffuso in ogni angolo del globo attraverso siti di streaming illegali molto prima che Crunchyroll diventasse mainstream.
C’è poi il fattore temporale: One Piece esiste dal 1997. Un ventenne di oggi potrebbe essere cresciuto con Rufy. È parte del DNA culturale di un’intera generazione globale. Quando un ragazzo nepalese vede un filippino con la bandiera pirata, non servono traduzioni. Il messaggio è chiaro.
A differenza della maschera di V per Vendetta (il precedente più ovvio che rimanda alla congiura delle polveri contro il parlamento inglese), che richiedeva produzione fisica e distribuzione, il Jolly Roger esiste già nella testa di milioni di persone. Puoi disegnarlo con un pennarello su un cartone. Puoi stamparlo in casa. Puoi ricrearlo con dei pezzi di stoffa.
E poi c’è l’aspetto estetico. Un teschio che sorride con un cappello di paglia è oggettivamente più bello di molti simboli politici tradizionali. Ha quella combinazione perfetta di minaccioso e giocoso che parla alla sensibilità della Gen Z. È serio senza prendersi troppo sul serio. È ribelle ma ottimista. È pirata ma buono.

Quello che stiamo vedendo è qualcosa di genuinamente nuovo: la prima generazione cresciuta completamente immersa nella cultura pop globale che usa quella stessa cultura come linguaggio politico.
Non stanno citando Marx o Che Guevara. Stanno citando Oda. Un fumettista.
Funzionerà? Difficile da dire. Il Nepal ha fatto cadere un governo, ma in Indonesia e Filippine le cose sono più o meno come prima. La Francia è più particolare. Per motivi storici probabilmente protesteranno fino alla fine dei tempi indipendentemente dai simboli usati.
Ma forse il punto non è l’efficacia immediata. Il fatto che migliaia di ragazzi in paesi completamente diversi abbiano scelto indipendentemente lo stesso simbolo dice qualcosa di profondo su come la cultura pop abbia creato un linguaggio condiviso che supera confini nazionali, linguistici e culturali.
In un mondo dove i politici sembrano sempre più dei villain di manga, forse non è così strano che i giovani abbiano deciso di rispondere diventando pirati. Dopotutto, come direbbe Rufy, il Re dei Pirati è la persona più libera del mondo. È Nika. E in fondo, è di libertà che stiamo parlando.
Oda probabilmente non se l’aspettava quando ha disegnato quel teschio per la prima volta. O forse sì. Con lui non si sa mai.





