Primal: il bisogno primordiale dello spettatore

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Sono particolarmente legato al silenzio, ho un debole per la pioggia, il tintinnio leggero delle gocce sull’asfalto, silenziose nonostante il rumore.
Urlano un significato che solo alcuni riescono a cogliere.
Da piccolo ho condiviso con voi lo stesso pavimento, seduto a raffreddarmi il sedere guardando in una tv cicciona The Real Ghostbusters, uno dei primi cartoon con i silenzi.
Con “silenzio” non intendo qualcosa come schiacciare “muto” sul telecomando, intendo una ripresa di un campo di grano con niente altro che i grilli notturni e la musica.

Ghostbusters ne aveva un mucchio di silenzi e quando sei abituato alle Silly Symphonies o a Tom & Jerry il cambiamento si sente.

Tartakovsky è uno di quelli, uno come noi. Uno che ama il silenzio, che intende “silenzio” come l’assenza di voce, ma non di rumore.

Lo avevamo capito da Samurai Jack, epica storia che ha trovato la sua conclusione grazie a Adult Swim e se non sapete di che stiamo parlando mollate tutto e andate a guardarlo.

Ma durante i suoi exploit artistici (Samurai Jack è arte e niente altro) il nostro Genndy ha dovuto piegare la schiena e seguire la regia di Hotel Transylvania, tutta la trilogia, e io e altri ci chiedevamo il perché.

L’unica spiegazione che mi sono dato è: vorrà accumulare denaro per portare avanti un suo progetto, un progetto folle e rischioso. Magari vuole concludere il suo Sym-bionic Titan, ancora senza un finale. Incrociamo le dita!

Questo mi ripetevo, ogni volta che sentivo Bisio fare “bla-bla-bla-bla” nel ruolo di Dracula morivo un po’ dentro, ma era quello che mi ripetevo

Certo, magari invece si diverte a gestire tutti quei mostri, ma dentro di me speravo, lo desideravo.

E poi è arrivato Primal

In Italia non se ne parla, Primal è approdato su Adult Swim pochi mesi fa, cinque puntate, ciascuna da venti minuti, mute.

Potrei soffermarmi sul valore artistico e tecnico dell’opera, sulla minuzia delle inquadratura e sulla regia coinvolgente, ma preferisco soffermarmi sulle emozioni, esattamente il punto di forza di Primal.

L’opera di Tartakovsky racconta della simbiosi tra Spear, un nerboruto uomo preistorico, e Fang, un Tirannosauro Femmina (sicuramente non imparentata a questa specie). Genndy non punta sull’attendibilità storica, vero?

Le loro avventure, di Howardiana memoria, si sviluppano partendo da eventi tragici, la morte delle rispettive famiglie a opera dello stesso carnotauro, dalla carneficina nascerà proprio l’amicizia che fa da legante a tutte le puntate. Le loro vicende ruoteranno intorno a bisogni primari, come la ricerca di cibo o di un riparo.

Lo spessore e il coinvolgimento non arriva dai dialoghi, ovviamente, ma dai colori, il rosso del sangue al blu del cielo, al bianco delle neve al giallo degli occhi dei loro nemici. Ci potremmo far abbagliare dall’enorme grado di violenza credendo che si tratti di un semplice action, ma no: sbagliereste.

Primal è un titolo che non si riferisce al contesto della trama, ma alle necessità primarie, primordiali, dello spettatore. Necessità visive e emotive qui portate all’esaltazione grazie alla decisione di eliminare i dialoghi e risvolti di trama complicati, raggiungere la fiamma atavica emozionale, vivere di bisogni primari e trarne soddisfazione. Mangiare, dormire, accoppiarsi.

Primal tenta, e riesce, di prenderci per mano e trascinarci a fondo in noi stessi, dove era tutto più semplice, ma visto che lo era per tutti era anche tutto più pericoloso.

La nuova fatica di Tartakovsky non è ancora arrivata in Italia, ma forse ciò che le ha dato vita è un po’ dentro tutti noi da milioni di anni.

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