#savemarinajoice è solo una trovata pubblicitaria?

Nelle scorse ore ha spopolato su Twitter l’hashtag #savemarinajoice. Questo hashtag fa riferimento a una faccenda che poteva essere davvero seria e che comunque permette di fare qualche considerazione sui meccanismi del web. Pertanto, per chi come me stamattina si è svegliato trovandosi davanti ‘sta cosa senza sapere cosa fosse, facciamo un piccolo recap.

Marina Joyce

Perché #savemarinajoice?

Marina Joyce – l’hastag infatti sarebbe pure sbagliato… – è una youtuber inglese, di fatto una fashion blogger: sul suo canale parla soprattutto di make-up e abbigliamento. Negli ultimi suoi video però i fan hanno notato alcune particolarità che li hanno spinti a formulare un’ipotesi particolare: Marina Joyce sarebbe stata rapita o comunque quanto meno costretta a continuare la sua attività su Youtube da qualcuno, forse anche con mezzi violenti e coercitivi. Pertanto qualcuno ha lanciato l’hashtag #savemarinajoice, che nelle ultime ore è diventato top trand a livello mondiale; risulta nelle prime posizioni anche in Italia, dove la fama della Joyce è, per ovvi motivi geografici, inferiore che altrove. In questo video vengono sottolineati alcuni particolari che hanno spinto verso l’ipotesi del sequestro.

 

La Joyce appare a volte spaesata, guardando con occhi sbarrati qualcuno dietro la camera, il cui riflesso appare nel suo sguardo; a volte si vede un fucile; sul corpo presenta alcuni lividi e avrebbe persino mandato messaggi in codice con richieste di aiuto.

Addirittura, quando la Joyce avrebbe chiesto ai suoi fan di incontrarsi a Londra nell’insolito orario delle 6:30 di mattina, qualcuno ci ha visto una manovra dell’ISIS, con lo scopo di radunare tante persone in un solo luogo per fini terroristici…

La cosa poi si è evoluta fortunatamente per il meglio: Marina Joyce ha più volte ribadito sui social di non trovarsi in situazione di pericolo. Inoltre, verso le 3 di mattina un agente delle forze dell’ordine inglesi si è recato a casa sua per verificare che tutto fosse a posto, e la situazione di tranquillità è stata confermata.

#savemarinajoice è una trovata pubblicitaria?

Della cosa si è occupato anche il tabloid inglese The Sun, che riporta queste affermazioni della Joyce, che qui potete leggere in inglese ma che noi per comodità abbiamo tradotto:

La prima volta che ne ho saputo qualcosa è stato quando ho visto il trend hashtag con la gente che ha iniziato a preoccuparsi.
Le persone si preoccupano davvero di me e la cosa poi ha avuto clamore. La gente là fuori è stata veramente gentile.
Curo il mio canale YouTube e dopo questo ho avuto un sacco di viewers in più, ed è una cosa molto buona.
Ma io sto bene, davvero. Non ci sono terroristi dell’ISIS qui.

Da queste dichiarazioni in poi, su Twitter si è continuato a parlare di #savemarinjoice. Infatti, il riferimento all’aumento di visualizzazioni  – la frase che noi abbiamo riportato in grassetto – ha cominciato a destare sospetti e ha fatto nascere l’idea che si sia trattato tutto di un’astuta trovata pubblicitaria. È così?

Difficile dirlo con certezza: per i suoi stessi meccanismi, su Internet le cose rimbalzando di continuo, e quando un fenomeno diventa virale è praticamente impossibile risalire alla persona che ha dato inizio al meccanismo. I meme, giusto per fare un esempio, funzionano così e rendono evidente questo sistema. Di conseguenza, è impossibile ricondurre con certezza a Marina Joyce o a qualcuno a lei vicino il lancio dell’hashtag #savemarinajoice e tutto quanto si è portato dietro.

Una cosa del genere è possibile? Certo. Forse alcuni di voi che seguono il calcio ricorderanno questo episodio: durante una partita del Barcellona, il calciatore Dani Alves si avvicina alla bandierina per battere un corner. Qualcuno dagli spalti gli lancia una banana. Un gesto razzista, si pensa subito. Dani Alves smonta la provocazione con un gesto molto semplice: mangia la banana. La cosa ha avuto un sacco di rimbombo – soprattutto su Internet – e se ne è parlato molto, salvo poi scoprire che era tutta una trovata pubblicitaria costruita a tavolino.

https://www.youtube.com/watch?v=l2nli5GsDaw

Rimane il fatto, per tornare alla vicenda #savemarinajoice, che gli iscritti al suo canale sono aumentati vertiginosamente in poche ore, le visualizzazioni dei suoi video sono schizzate alle stelle,come mostrano queste foto su Twitter:

#savemarinajoice iscritti

Se si trattasse davvero di una trovata pubblicitaria, sarebbe di pessimo gusto. Ma la cosa ci rinfaccia ancora una volta che Internet è un mezzo che può sfuggirci di mano in un secondo e che il suo uso deve essere responsabile. Un hastag come #savemarinajoice che diventa virale senza alcun motivo fa ritornare alla mente le famose parole di Umberto Eco sulla “legione degli imbecilli”. Quindi, che la cosa sia vera o sia una montatura pubblicitaria, ne traiamo sempre la stessa lezione: quella, appunto, di un uso responsabile del mezzo.

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Mario Iaquinta

Nato da sua madre “dritto pe’ dritto” circa un quarto di secolo fa, passa i suoi anni a maledire il comunissimo nome che ha ricevuto in dote. Tuttavia, ringrazia il cielo di non avere Rossi come cognome, altrimenti la sua firma apparirebbe in ogni pubblicità dell’8×1000. Dopo questa epifania impara a leggere e scrivere e con queste attività riempie i suoi giorni, legge cose serie ma scrive fesserie: le sue storie e i suoi articoli sono la migliore dimostrazione di ciò. In tutto questo trova anche il tempo di parlare al microfono di una web-radio per potersi spacciare per persona intelligente senza però far vedere la sua faccia. Il soprannome “Gomez” è il regalo di un amico, nomignolo nato il giorno in cui decise di farsi crescere dei ridicoli baffetti. Ridicoli, certo, ma anche tremendamente sexy, if you know what I mean…
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