La Dead Internet Theory (Teoria di Internet morto), una controversa ipotesi che suggerisce che il web sia diventato un territorio dominato da bot e contenuti generati artificialmente, sta scuotendo l’opinione pubblica. Secondo i sostenitori di questa teoria, a partire dal 2016-2017, Internet avrebbe subito una profonda metamorfosi, trasformandosi da uno spazio in cui l’attività umana era predominante a una rete popolata quasi esclusivamente da entità artificiali. Ma quanto c’è di vero in questa provocatoria teoria?
Teoria di Internet morto: verità o solo paranoia?
I fautori della cosiddetta “teoria dell’internet morto” affermano che sofisticati algoritmi guiderebbero la navigazione degli utenti, rendendo le esperienze online più pilotate che spontanee. Alcuni arrivano persino ad accusare governi e giganti della tecnologia di utilizzare questa strategia per manipolare la popolazione, evocando scenari distopici degni delle pellicole di David Cronenberg.
Uno degli elementi chiave a sostegno della teoria è l’aumento del traffico generato dai bot, che in alcuni report raggiunge quasi il 50% del traffico globale. Tuttavia, il fenomeno non si presenta in modo uniforme: in Irlanda, ad esempio, i bot costituiscono ben il 71% del traffico, ma non esistono dati analoghi per altri Paesi.
Un’altra osservazione che alimenta il dibattito è il cosiddetto “link rot“, ovvero la rottura dei collegamenti ipertestuali, che contribuisce alla sensazione che il web sia più ristretto e meno accessibile di quanto sembri.
Il web come villaggio Potëmkin?
Questo ha portato alcuni a considerare Google e altri motori di ricerca come delle “Potemkin village digitali”, che mostrano un Internet più vasto e variegato di quanto non sia in realtà, come le facciate finte dei villaggi costruiti dal generale Potëmkin per impressionare Caterina II di Russia durante il suo viaggio in Crimea nel 1787.
L’avvento dei modelli di intelligenza artificiale ha dato nuovo vigore alla Dead Internet Theory. Da quando strumenti come ChatGPT hanno iniziato a generare contenuti complessi e realistici, molti si interrogano se questo non stia effettivamente “soffocando” la produzione organica degli utenti umani.
Con milioni di articoli, immagini e commenti generati dalle AI, il confine tra il contributo umano e quello artificiale si fa sempre più labile. Tuttavia, dovremmo smettere di lamentarci di questi strumenti poiché, diversamente da quanto il pubblico medio italiano pensa, non sarà lei a rubarci il lavoro o a distruggere la realtà in cui viviamo.
Piuttosto, prima dovremmo evitare di fare certi errori quando parliamo di cose che non conosciamo.
Destabilizzazione su più fronti
Piattaforme come Facebook hanno introdotto funzionalità che permettono agli utenti di interagire con risposte generate dalle AI, come nel caso delle reazioni automatiche nei gruppi. L’esplosione di immagini create da modelli AI e viralizzate su larga scala, spesso accompagnate da migliaia di commenti botici (generati da bot), rafforza la percezione di un web sempre meno autentico.
Molti esperti, come la critica culturale Caroline Busta, considerano la teoria dell’internet morto un’esagerazione o addirittura una forma di paranoia. Tutto ciò potrebbe essere il frutto di una mentalità eccessivamente sospettosa o persino irrazionale in cui timori di una manipolazione globale attraverso il web possono essere infondati o esagerati, alimentati più da ansie e paure che da prove concrete.
Tuttavia, anche se la teoria fosse infondata, solleva un tema cruciale: come possiamo preservare l’autenticità del web in un’era dominata dalle intelligenze artificiali? Sta a noi, come utenti e cittadini digitali, navigare in queste acque tumultuose con consapevolezza e spirito critico, per preservare il valore del contributo umano in un mondo sempre più dominato dalle macchine.
Dare la colpa a qualcosa che non siamo noi, è fin troppo facile.