Valheim: il survival game di cui avevamo bisogno (RECENSIONE)

Valheim è stato una sorpresa. Rilasciato in early access su Steam il 3 Febbraio 2021, nella sua prima settimana aveva già venduto un milione di copie. In altri due giorni ha raggiunto il secondo milione, e i giocatori ad acquistarlo sono stati sempre di più fino a raggiungere, al termine del primo mese di pubblicazione, quota cinque milioni. Un successo strepitoso per questo survival/building game: ma cos’è che glie lo ha permesso? Come mai i giocatori sono stati catturati da questa esperienza videoludica, considerando che di survival game ne abbiamo già visti in quantità?

Iniziamo dalle basi

Come funziona un survival game lo sapremo tutti: negli ultimi 10 anni la popolarità di questo genere di giochi è salita alle stelle con titoli dei più svariati. Lo stesso Minecraft, che ricordo essere il gioco più venduto di sempre, ha una modalità survival, e non sono mancati i giochi che hanno cercato di innovare o di dare un’occhiata al genere da un diverso punto di vista.

Nella sua fase iniziale Valheim non sembra raccontare niente di nuovo, se non per un piccolo dettaglio: la trama è leggermente più delineata di un semplice “esisti, sopravvivi“. Il nostro personaggio infatti, creato con un editor estremamente semplice che permetterà di cambiarne colore di pelle e capelli e di selezionare tra una breve lista di capigliature (una singola lista, peraltro, indipendente dal genere del personaggio), inizierà la sua avventura dopo essere stato trasportato da un’enorme aquila (Gandalf? Sei tu?) all’interno di un circolo di strane pietre che si trova in una radura. Ed è lì che farà la sua apparizione la prima differenza da quasi qualsiasi altro gioco survival: il buon Hugin.

I bring Tidings
Hugin in tutto il suo splendore mentre loda il sole, con tanto di puntone esclamativo.

Nella mitologia norrena Hugin è uno dei due corvi di Odino, e in Valheim fa da intermediario con il giocatore. Hugin sarà al contempo colui che somministrerà i tutorial al personaggio e che scandirà il procedere della trama, presente seppur di fondo. Hugin spiegherà immediatamente al personaggio che Odino in persona gli richiede di sconfiggere cinque suoi grandi nemici, a partire da un certo Eikthyr, l’unico la cui posizione è nota, per raggiungere il Valhalla.

Il giocatore si troverà inizialmente a dover recuperare legno, pietra, ed altri materiali per costruirsi i primi strumenti, iniziale a tagliare alberi, costruirsi un riparo per la notte e dalla pioggia, costruirsi un falò (ed imparare a proprie spese che il letto necessita di un falò vicino per essere usato ma che un falò in casa la riempirà di fumo – non piacevole – se non si trova un modo per farlo sfogare all’esterno) ed iniziare a capire come cacciare cervi e cinghiali e come difendersi dai greyling, piccole creature silvane che ogni tanto passeranno nei paraggi ed aggrediranno il personaggio.

Un Greydwarf, la versione più massiccia dei piccoli Greyling

Niente di nuovo, eppure tutto di nuovo, perchè per quanto non ci se ne renda conto subito, ci sono due grossi elementi che rendono Valheim degno del successo che sta avendo.

La gestione del tedio: l’eccellenza di Valheim

Siamo abituati a giochi nei quali ci viene richiesto di essere sempre attivi, non fermarsi mai, per sopravvivere. Bisogna sempre avere scorte di cibo e non si può passare troppo tempo senza andare a ricercarlo, bisogna sempre recuperare nuovi materiali per ricostruire gli strumenti che si rompono, bisogna sempre avere a che fare con mostri che raggiungono impunemente la porta di casa, soprattutto durante la pericolosissima notte.

Valheim non ci metterà di fronte a questo tipo di problematiche. Il cibo non scarseggia nel mondo di gioco, ed anche se lo facesse non è obbligatorio mangiare per restare in vita: i pasti serviranno soltanto ad incrementare i propri punteggi di stamina e di salute – e per quanto questo li renda praticamente obbligatori per qualsiasi combattimento un minimo impegnativo, non sarà necessario pensare a cacciare o raccogliere bacche anche quando avete voglia di passare un po’ di tempo a costruire la vostra immensa reggia a tre piani (e vi assicuro che per farlo potrebbe essere necessario applicare un po’ d’ingegneria: i tetti non resteranno in piedi senza adeguati sostegni).

Inoltre, al vostro banco da lavoro potrete riparare tutti gli strumenti gratuitamente, e per quanto per ogni costruzione sia fortemente necessario recuperare il materiale, non dovrete invece farlo semplicemente per mantenere gli strumenti basilari. Inoltre difficilmente dei mostri attaccheranno la vostra casa – a meno che non la costruiate in qualche bioma estremamente ostile – e salvo per alcuni rari eventi che potrebbero vedere delle effettive invasioni della propria dimore, se anche qualche creatura vi dovesse inseguire fino a lì non la demolirà facilmente… a meno che non abbiate la pessima idea di nascondervi da un troll cercando di sfruttare una porta di legno come scudo.

Questi cattivi ragazzi vi faranno passare qualche brutto quarto d’ora, questo è vero

Non sto dicendo che il gioco sia semplice, chiaramente, ci sono altri elementi che ne caratterizzano la complessità e in alcuni casi la difficoltà, ma semplicemente che prevede un’esperienza di gioco a suo modo rilassata, che ad una parte gestionale molto serena affianca però una componente esplorativa e di combattimento che, di contro, non perdona.

L’influenza dei giochi Soulslike si nota – e non poco. Il combattimento in terza persona, che sfrutta una singola barra di stamina per attacchi, parate e schivate, ricorda molto quello dei Dark Souls, e la meccanica che si attiva in caso di morte del proprio personaggio lo fa ancora di più. Quando il vostro personaggio, infatti, perderà la vita (e succederà, oh se succederà), il suo cadavere rimarrà nel luogo in cui è stato eliminato… con tutto l’equipaggiamento ancorato. Per recuperare il proprio equipaggiamento sarà necessario raggiungere il punto della propria ultima morte e raccoglierlo da una simbolica lapide che, come potete immaginare, sarà molto probabilmente ancora guardato a vista proprio dai mostri che lo hanno eliminato. E se doveste morire una seconda volta prima di recuperarlo, beh… allora sì che vi conviene ricominciare a raccogliere materiale – perchè il gioco indica solo il punto della vostra ultima morte, e non sarà facile orientarvi nell’immensa mappa se non vi ricordate dove sia il vostro equipaggiamento perduto o non ve lo siete segnato.

Svegliare Eikthyr dal suo sonno non sembra avergli fatto piacere

A tutto questo si aggiunga la progressione basata sui boss – che non è possibile evitare se si vuole procedere nel gioco: ad esempio solo dopo aver sconfitto il primo dei nemici di odino sarà possibile accedere ai primi materiali metallici per passare ad un equipaggiamento migliore di una misera ascia di pietra. Una progressione di questo tipo, che viene riportata alla mente ed incitata in vari modi durante l’avventura (Hugin non smetterà di venirvi a trovare per spiegarvi come procedere quando necessario, ed esplorando alcune zone dopo la sconfitta di un boss sarà possibile trovare informazioni sulla posizione del successivo), dà un senso di continuità più tipico dei soulslike che dei survival game.

Un buon incrocio quindi, tra questi due generi, che vede la possibilità di alternare momenti più rilassati e difficilmente noiosi come capita fin troppo spesso nei survival game – dei quali valheim mantiene ed innova grazie ad un articolato sistema di stabilità strutturale la gioia di dedicarsi alla costruzione e le potenzialità multiplayer, con sezioni in cui correre per la propria vita non suona così assurdo, soprattutto di fronte a qualche imponente mostro o, forse peggio, ad un’orda di creature più piccole ma ugualmente determinate ad eliminarvi.

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