Decreto sul Copyright del 12 Settembre, che hanno combinato?

Il Decreto sul Copyright è stato ufficialmente approvato dal parlamento europeo e rischia di cambiare l'interweb come lo conosciamo. Vi spieghiamo passo, passo in cosa consiste la legge.

Dopo il momentaneo sospiro di sollievo che in molti avevano tirato lo scorso 5 luglio, riluttanti a proposito del decreto sul Copyright in corso di valutazione presso il Parlamento Europeo, si è giunti finalmente, o sfortunatamente, a un approvo.

La legge era stata inviata per una riconsiderazione completa e un dibattito parlamentare per valutare le possibilità applicative di una linea guida a livello europeo per il rispetto delle regole sul diritto di autore.

Molte personalità di spicco, nell’ambito, si erano dichiarati contrari alla riforma che “minacciava” la libertà e le modalità di espressione nel suo tratto specialmente informativo.

Con l’approvazione definitiva, il Parlamento Europeo si impegna alla messa in pratica di alcune modifiche suggerite dal relatore Axel Voss sui controversi articoli 11 e 13 della proposta, che di fatto significa che andranno in vigore nella loro completezza quando il mandato sarà inviato per i negoziati con il Consiglio (passaggio necessario per arrivare alla definizione del testo legislativo finale).

A quel punto, la strada sarà aperta per cercare un’intesa definitiva sulla riforma e questo dovrebbe accadere ad inizio del prossimo anno (gennaio 2019). Successivamente, dopo l’approvazione finale, toccherà ad ogni singolo stato dell’Unione Europea mettere in atto la legge secondo le disposizioni riflettute.

Arriva così il momento che regolarizzerà un mercato da milioni di euro (se non miliardi) di diritti d’autore rivelabili tra musicisti, editori, giornalisti e artisti di vario genere e che vede in contrapposizione multinazionali monopoliste dal calibro di Google e Facebook.

Può sembrare cosa buona e giusta, un discorso che sa molto di “dare a Cesare quel che è di Cesare” ma come in ogni dibattito, c’è sempre l’altro lato della medaglia. Esiste, infatti, chi non è per niente d’accordo sulla piega che la faccenda sta per assumere.

decreto sul copyright
Il parlamento europeo ai voti circa il decreto sul Copyright

Chi ha seguito la vicenda sin dagli albori, sa benissimo che l’alfiere più importante della fazione avversa ai cambiamenti in atto, è rappresentato da Wikipedia. Giusto 24 ore prima che il decreto fosse approvato, l’enciclopedia online più famosa al mondo, aveva oscurato le foto sulle proprie pagine per protestare contro alcuni aspetti della legge.

<<La legge sul diritto d’autore riguarda qualsiasi cosa tu faccia su Internet, dal condividere articoli di giornale al caricare le tue foto delle vacanze per contribuire al sapere su Wikipedia – si legge nel comunicato pubblicato nella homepage dell’enciclopedia online – Wikipedia auspica una legge che salvaguardi il pubblico dominio e che non obblighi a pre-filtrare inefficacemente i contenuti. Le decisioni che prenderemo ora o promuoveranno un ambiente in cui Wikipedia e il sapere fioriranno, o mineranno la capacità delle persone di collaborare liberamente su Internet>>.

Il gesto è da vedere come il seguito di quello in cui, nel giugno scorso, Wikipedia aveva nascosto tutti i contenuti in occasione del precedente voto di Strasburgo circa il decreto sul copyright e successivamente rinviato.

Ad oggi, la proposta sul Copyright gode di ben 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni. La resa dei conti è inevitabile e dunque ci apprestiamo a dei radicali cambiamenti in aspetto, e in contenutistica, del web come lo conosciamo in questo momento.

Cerchiamo allora di venire a capo del significato di questo decreto sul copyright e cosa comporta nella pratica dei fatti. Ecco una sintesi di ciò che comportano gli articoli del decreto;

Articolo 11

Consiste nel mettere un freno a piattaforme come Google News che guadagna aggregando notizie sul sua main page. Potenzialmente, significa che migliaia, se non milioni di potenziali lettori, ogni giorno, ottengono informazioni sulle pagine di Google News senza accedere ai contenuti dei giornali che la piattaforma raccoglie ed elenca secondo il suo algoritmo. Da questo punto di vista, sembrerebbe che a beneficiarne sia solo Google. Lo stesso meccanismo vale anche per altre piattaforme concorrenziali che offrono lo stesso servizio anche se la maggior accusata, ovviamente, resta la società californiana.

D’altro canto, c’è da riflettere sull’altra facciata della luna; il servizio di questi aggregatori (Google, in primis) distribuisce un’esteso volume di traffico ai singoli siti delle varie testate – e di conseguenza alimenta anche introiti pubblicitari e commerciali – consentendo agli stessi di essere maggiormente trovati, e cliccati, sulle vaste lande dell’interweb.

In ogni caso, il decreto sul copyright stabilisce che qualsiasi utilizzo non autorizzato di contenutistica appartenente a terzi, rappresenti una violazione.

Qualcosa del genere era già avvenuta sia in Germania che in Spagna, nel 2014, dove Google News ha chiuso definitivamente i battenti e provocando, tra le varie cose, il dissenso degli editori beneficianti del servizio. Vista dall’esterno, infatti, la bilancia penderebbe più per i vantaggi che una piattaforma come Google News, se ben utilizzata, apporterebbe all’editoria. Il discorso, comunque, è da vedere nell’ottica ben più ampia della crisi editoriale, quella della carta stampata e di conseguenza anche quella digitale.

Il rischio, a questo punto, che Google News possa chiudere anche nel resto d’Europa, è potenzialmente verificabile. Gli aggregatori minori, per chi mastica un po’ l’ambiente web, hanno un valore economico irrisorio e per niente competitivo (rispetto alla grande G), dato che gli introiti derivanti dal pagamento di una tariffa agli editori sarebbe scarsamente rilevante.

E’ plausibile la “critica” che in molti sostengono circa il fatto che il decreto sul copyright potrebbe fare più danni che altro, sia agli editori, sia per gli utenti. Il rischio è quello che di far cadere una struttura già ampiamente ottimizzata per promuovere la diffusione delle informazioni.

Nel frattempo, la FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) aveva scritto un appello agli europarlamentari italiani per vagliare l’articolo 11. La fazione capitanata dagli editori, infatti, sostiene la direttiva, credendo nella garanzia di un giusto compenso verso i giornalisti per la distribuzioni dei contenuti da loro sviluppati per internet.

Inoltre, un sondaggio di Harris Interactive dimostrebbere che l’89% degli Italiani sia d’accordo con l’approvazioni di tali regolamentazioni verso il riconoscimento economico di creatori di contenuti e artisti sul web.

Le proposte di modifica, invece, consentono l’impiego non commerciale dei link. Quindi, tutti i contenuti linkati con fini non commerciali (si leggano come “link di Wikipedia” o “piattaforme open source), saranno esclusi dall’obbligo di rispettare la legge.

In sostanza, l’articolo 11 significa che accordi di licenza con i titolari dei diritti debbano essere sanciti prima del loro utilizzo e della loro eventuale ri-elaborazione.

Per quanto riguarda invece la semplice condivisione di link di articoli sarà attività esclusa dalle norme sul copyright così come tutte le attività che non hanno fini di lucro; Wikipedia non sarà oscurata e i meme non sono a rischio di estinzione per il medesimo motivo.

parlamento esplode v per vendetta
No, non è il parlamento europeo. Ma scommettiamo qualche rene che molti di voi nerds abbiate pensato a V per Vendetta. Eh, maledetti fanboys! :D

Articolo 13

Ed eccoci al clue della controversia. L’articolo 13 è forse quello ritenuto più “astratto” e per il semplice motivo che obbligherebbe i grandi siti web (tra cui i social network) a utilizzare tecnologie automatizzate per il riconoscimento di contenuti protetti da copyright e diritto d’autore.

Questa direttiva rischierebbe, secondo alcuni esperti tra cui il creatore del world wide web, Tim Berner, e il fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, di trasformare l’interweb in un mezzo per la sorveglianza e per il controllo degli utenti.

L’articolo 13 muta il concetto secondo cui i responsabili dei contenuti sono gli utenti, trasferendo la responsabilità alle piattaforme ospitanti.

<<L’articolo 13 trasforma i social media e le altre compagnie di internet in una specie di polizia del copyright, costringendoli a implementare un sistema di sorveglianza altamente invasivo>>, ha spiegato l’esperto in crittografia e sicurezza, Bruce Schneier, in un’intervista su Wired.

Secondo questo modello, stando a quanto detto dagli attivisti contrari al decreto sul copyright, le multinazionali potrebbero potenziare ulteriormente il controllo delle informazioni sui propri utenti. In ogni caso, il relatore della proposta di modifica sulla legge, Alex Voss, avrebbe dichiarato che nel testo non si fa riferimento a un sistema di filtrazione ma più in generale a tecnologie per il riconoscimento (in prevenzione, quindi forse durante l’upload dei contenuti) delle violazioni sul copyright.

Conclusioni in merito al decreto sul copyright

Non ci resta che aspettare ulteriori sviluppi e di capire come il web si evolverà per adattarsi alle direttive europee. Del resto, il mutamento è consuetudine dell’ambiente online e la staticità non è adatta a un mondo in continuo cambiamento.

Bisogna solo stare attenti che le trasformazioni non siano attuate per applicare dei modelli tipicamente “statici” ad uso di una società anziana e affezionata al suo immobilismo.

Una persona a me cara – di cui non farò menzione per questione di “diritti d’autore” – una volta disse:

tutto è riscrittura. Difficilmente troverete qualcosa che non sia stato scritto già da qualcun altro

Correva l’anno 2002 e mi ritrovavo tra i banchi del liceo. Il mio saggio professore d’italiano intuiva che in un mondo così altamente digitalizzato e aperto alle informazioni, sia impossibile imbrigliare la conoscenza. Dunque, l’auspicio è quello che si possa discutere e trarre vantaggi dalla condivisione più che cercare di incatenare la soluzione attraverso dei sistemi automatizzati.

PS: anche questo articolo si è valso di altro contenuto per la sua realizzazione. Trovate la fonte più in basso. Grazie Google :P

Ti è piaciuto questo articolo? Dicci cosa ne pensi nei commenti qui sotto o esplora altri contenuti dal nostro menù!

Hai una storia da raccontare o un'opinione da condividere? Mandaci il tuo articolo scrivendoci a [email protected].

Vuoi unirti al nostro team e collaborare con noi? Scopri come candidarti alla pagina dedicata: collabora.

Source
TPI

Dave

Atipico consumatore di cinema commerciale, adora tutto quello che odora di pop-corn appena saltati e provoca ardore emotivo. Ha pianto durante il finale di Endgame e riso per quello di Titanic. Sostiene di non aver bisogno di uno psichiatra, sua madre lo ha fatto controllare.
Pulsante per tornare all'inizio