Due settimane fa, un ragazzo di 19 anni ha tentato il suicidio buttandosi dal quinto piano del palazzo dove era residente. Stando al resoconto, dopo un’accesa discussione con la madre, quest’ultima avrebbe deciso di sottrargli la tastiera dal computer, portando il giovane a compiere l’estremo gesto. L’ultimo bollettino rilasciato, descrive le condizioni del giovane come gravi, in ricovero presso il Cto di Torino – prognosi riservata.
Il diciannovenne viveva in totale isolamento sociale, non usciva di casa, non lavorava né andava a scuola.
Questo fenomeno è conosciuto col termine giapponese “hikikomori“, che significa letteralmente “stare in disparte”. L’etimologia è dovuta proprio all’estesa portata di questa sindrome nel paese del Sol Levante, dove ci sono oltre 500.000 casi accertati.
Questo disagio sociale può avere numerose cause. In genere scaturisce nel delicato passaggio tra il Liceo e l’Università, dove le aspettative, la pressione e la paura del proprio futuro giocano un ruolo fondamentale. Specialmente in Giappone, il cui sistema scolastico è di gran lunga più punitivo rispetto a quello nostrano.
Sono molti i giapponesi che, fallito il test d’ingresso per l’Università, diventano dei ronin: ovvero si chiudono in casa per studiare un anno intero, al fine di ritentare successivamente il test. Alcuni di questi, finiscono per gettare la spugna.
In Italia, il fenomeno non ha il medesimo riscontro, nonostante i numeri siano comunque preoccupanti. Si stima che gli individui affetti siano circa a 100.000. Statisticamente si tratta di ragazzi sensibili, introversi, con problemi familiari e/o scolastici ed una forte avversione nei confronti della società.
Nel nostro paese questa sindrome è ancora semi-sconosciuta, ed è di frequente oggetto di mistificazione. Spesso la patologia è semplicisticamente ridotta a “dipendenza da Internet”, quando quest’ultima è solo la conseguenza di un problema molto più grande e complesso, e non la causa. Soprattutto considerando che i primi casi documentati risalgono a metà degli anni ottanta, ben prima dell’approdo di Internet nelle nostre case.
Nel caso del ragazzo torinese, l’utilizzo smodato del computer era il sintomo di una forte sofferenza, costellata di nodi personali irrisolti. Per lui, il PC era un placebo, l’unico contatto con la realtà, in mancanza del quale si è sentito perduto.
La scarsa duttilità della società in materia porta le famiglie dei ragazzi isolati ad essere abbandonate, con genitori totalmente spaesati e impotenti, incapaci di aiutare i propri figli.
In questo contesto si muove l’associazione Hikikomori Italia, che costituisce il primo e concreto contrasto all’isolamento sociale.
La fondazione è attualmente attiva su tutto il territorio italiano, operando campagne di sensibilizzazione. Hikikomori Italia vanta già alcuni successi, tra cui la collaborazione col MIUR allo scopo di redigere delle linee guida per le scuole che si trovano a trattare con alunni hikikomori.
È sicuramente un primo passo verso una società più inclusiva, con la regolamentazione delle normative scolastiche atte alla realizzazione di piani didattici personalizzati e modelli educativi indoor.
Per rendere il più esaustivo possibile quest’articolo, ho deciso di integrare maggiori informazioni sull’argomento contattando uno psicologo di Horizon – Psytech & Games, il dott. Andrea Zanacchi, a cui ho posto le seguenti domande:
Come descriveresti il fenomeno dell’hikikomori da un punto di vista accademico? Nasce prima il fenomeno o la patologia?
Focalizziamoci sul termine “Hikikomori”. Può essere tradotto letteralmente come “ritiro sociale”, isolamento in cui la persona si ritrova a dover vivere.
Per quanto riguarda la nascita, il termine fu coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saitō, specializzato in psichiatria adolescenziale. Lo psicologo si rese conto che molti pazienti in cura presentavano diversi sintomi simili, tra cui isolamento totale, letargia e impossibilità di comunicare. Si può quindi affermare che il fenomeno nasce con la presa di coscienza dell’esistenza di questa patologia, che colpisce numerosi adolescenti giapponesi, che non riescono a gestire lo stress che la vita quotidiana (familiare, lavorativa o scolastica) offre.
E’ comunque importante non confondere questo fenomeno con la dipendenza da internet o da videogiochi.Quali sono i campanelli d’allarme dell’hikikomori?
Per essere considerato hikikomori, una persona deve aver vissuto per almeno sei mesi della sua vita in totale isolamento sociale: non deve quindi aver avuto alcun contatto con altre persone (familiari o amici inclusi).
Questo isolamento è dettato dal ritiro dalla scuola e/o dall’ambiente lavorativo. L’isolamento può durare anche parecchi anni, se non si interviene e non si aiuta il ragazzo affetto da questo disturbo. Nel 90% dei casi, gli hikikomori sono ragazzi di sesso maschile tra i 19 e i 30 anni, spesso primogeniti. Questo perché in Giappone il primogenito ha il difficile compito di mantenere il buon nome della famiglia con successi scolastici e lavorativi. Anche aver subito bullismo in età scolastica può essere un fattore di rischio per l’insorgenza di questa patologia.
Un hikikomori non presenta altre patologie rilevanti (es. schizofrenia o ritardo mentale).
Un primo campanello d’allarme può essere quindi il ritiro di una persona da tutte le attività della sua vita quotidiana, isolandosi per qualche giorno nella propria cameretta.Gli hikikomori sono persone schive ed introverse, come bisogna comportarsi per instaurare un dialogo?
Instaurare un dialogo con un hikikomori è particolarmente difficile quanto necessario.
Spesso il ragazzo si rinchiude in camera perché si sente oppresso dallo stress della vita e preferisce stare in un “ambiente sicuro”. Per instaurare un primo dialogo, sarebbe quindi necessario ricreare una sorta di ambientazione in cui il ragazzo riesce ad essere a proprio agio, in cui instaurare delle interazioni di gruppo. Un esempio, potrebbe essere costituito dalla nidotherapy, che usa un approccio caldo e confortevole al fine di portare i membri della famiglia in psicoterapia.Che responsabilità ha la famiglia in merito?
La famiglia ha solo una fetta della responsabilità, che deve condividere con il sistema scolastico e il sistema sociale e culturale.
La classica famiglia dell’Hikikomori è formata da entrambi i genitori, spesso ancora insieme. La figura paterna è spesso assente per motivi lavorativi, mentre la madre si prende costantemente cura del figlio. L’attaccamento sempre più forte verso la madre (quale unico caregiver) può generare nel bambino/ragazzo un sentimento di “dipendenza affettiva”, definito in giapponese Amae (termine coniato da Takeo Doi, psicanalista).
Secondo Aguglia e colleghi, “le famiglie giapponesi sono caratterizzate da una madre psicologicamente e fisicamente vicina ai figli e da un padre piuttosto marginale che non riesce ad inserirsi come terzo elemento e ad allentare il legame esistente tra madre e bambino” (Aguglia et al., 2010). La madre idealizza il proprio figlio, lo rende unico, e quindi carico di aspettative verso la famiglia. Aspettative spesso irrealizzabili che stressano a tal punto il ragazzo a costringerlo all’isolamento.
Anche il sistema scolastico e lavorativo danno il loro contributo. Oltre all’ambiente familiare, anche gli studenti e/o i lavoratori che percepiscono una pressione fortissima riguardo i risultati da raggiungere, possono portare all’isolamento sociale e, quindi, alla reclusione.La situazione economica e lavorativa del nostro paese contribuisce ad aggravare questa sindrome?
Potrebbe essere uno dei fattori scatenanti, senza dubbio. In un paese dove il tasso di disoccupazione è particolarmente alto ed è sempre più difficile ottenere contratti e posti di lavoro stabili, il fenomeno può sicuramente aumentare. Tutto lo stress che viene quindi a crearsi per via della pressione familiare verso un figlio che ha provato di tutto (ottimi voti a scuola, vita universitaria perfetta) ma che non riesce comunque a trovare un posto stabile, può essere un fattore predittivo per questa patologia.
Sperando di aver provveduto a una maggior chiarezza circo l’argomento Hikikomori, rimandiamo alle vostre riflessioni nei commenti o sui nostri social.
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