Quanto può essere grande una galassia? Quale forma ha? E la nostra? È grande? E che dimensioni ha? E che forma?
Riuscire a rispondere a domande come queste ci aiuta a comprendere meglio il nostro universo, le leggi che lo regolano e l’ambiente che dà a nostra disposizione, dato volenti o nolenti, siamo parte integrante della galassia in cui ci troviamo e partecipi (più o meno consciamente) di tutti i fenomeni che in essa avvengono.
La galassia prima del 3D
Per questo, sin da quanto l’uomo ha iniziato ad osservare il cielo in modo sistematico, ha sin da subito cercato e trovato misure e metodi di misurazione atti allo scopo di meglio conoscere lo spazio intorno a lui. Così già dai tempi di William Herschel c’era nella mente degli studiosi l’idea di riuscire a ricostruire una mappa della galassia (vedi serie di articoli sulle distanze astrali). La notizia riportata da Space.com però ci fa sapere che abbiamo fatto “qualche” passo in più rispetto alla semplice mappatura: i ricercatori sono riusciti a ricostruire un modello in tre dimensioni della nostra galassia, la Via Lattea, basandosi su un numero enorme di dati e misurazioni ottenuti da satelliti, telescopi orbitali e terrestri e altre sonde munite di strumenti opportuni.
Come si è giunti a queste misurazioni? Sembrerà strano da dirsi ma il metodo è pressoché quello adottato durante i primi tentativi di misura delle distanze astrali, come già spiegato in articoli più specifici e vecchiotti, la differenza però l’ha fatta la tecnologia: strumenti come il telescopio spaziale Gaia, dell’ESA, sono in grado di raccogliere enormi moli di informazioni in periodi di attività relativamente brevi (notizia su mediainaf), dati che, una volta elaborati e poi combinati con quelli di altri strumenti, sia terrestri che orbitanti, hanno portato alla costruzione di una mappa tridimensionale della nostra galassia , la quale ci ha rivelato anche alcuni aspetti che pur essendo già noti, si sono mostrati più rilevanti di quanto teorizzato in precedenza.
Il 3D dalle distanze
Ma scendiamo più nei dettagli e vediamo, in senso anche letterale dato che adesso è possibile, come si è lavorato, su cosa e cosa è saltato fuori.
Come dicono i ricercatori dell’università di Varsavia, intervistati da Science.com, si è andati alla ricerca di un tipo particolare di stelle, le variabili Cefeidi, il cui rapporto loro periodo di variabilità e la luminosità stellare assoluta (intrinseca) è molto stretto e facile da determinare. Una volta noto questo parametro proprio della stella, si misura la sua luminosità apparente e, grazie ad una ben nota legge matematica, si può ottenere con buona precisione la misura della distanza reale della stella osservata. Quando non è stato possibile osservare direttamente questi oggetti, si è ricorso ad opportuni strumenti in grado di superare le barriere visuali, rappresentate per lo più dalla grande quantità di gas e polveri interstellari presenti tra noi (osservatore) e la stella oltre la nube (oggetto osservato), tipo sensori capaci di rilevare alcune frequenze dell’infrarosso, come il vicino infrarosso che può oltrepassare le polveri galattiche. I dati ottenuti da queste ricerche, insieme a quelle sulle cefeidi e ad altri provenienti da ricerche analoghe su altre tipologie di oggetti stellari, hanno permesso di creare un quadro di insieme della nostra galassia molto più particolareggiato di quanto si potesse pensare prima, inoltre ha fatto emergere un fatto curioso, anche se già noto agli studiosi: la nostra galassia non giace perfettamente piana ma mostra delle flessioni in determinate aree, dovute all’interazione gravitazionale con le galassie satelliti o la materia oscura.
Alla fine dunque abbiamo ottenuto una migliore e più chiara conoscenza dell’ambiente galattico in cui ci troviamo, e questo, oltre a dirci letteralmente dove siamo, può aiutarci a comprendere e a prevedere i comportamenti degli altri corpi celesti intorno a noi e quindi può avere a che fare anche col nostro futuro.
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