Questa è una storia che riguarda me, Battlefield 1 e il mondo dei videogiochi moderni.
Nell’arco del lungo tempo della mia vita passato con i videogiochi e nell’area relativa ho avuto un’ampia varietà di esperienze diverse.
Ma non solo, ho anche potuto, data la mia età anagrafica, notare e valutare l’evoluzione sia del prodotto videoludico che del pubblico fruitore.
Sono felice di poter dire di avere una visuale abbastanza ampia e particolarmente utile ad una valutazione in prospettiva. La mia esperienza è iniziata con la prima generazione dell’hardware da casa , il Commodore 64, ed abbraccia un arco di tempo che giunge al giorno d’oggi.
Ecco perchè dietro alle storie di ogni giorno traspaiono sottotracce che ritengo siano indicative di una cultura e di una sensibilità al contesto che sono tratti in continua evoluzione e che risentono anche dei riflessi della società.
Le storie del mondo dei videogiochi ci possono insegnare qualcosa.
Battlefield 1 ha una storia strana: protagonista semi-involontario di una battaglia fra trailer con il rivale di sempre Call Of Duty e semi-involontario portavoce e simbolo delle istanze e delle richieste di rinnovamento della community avversaria, questo titolo ha spiazzato molti per una serie di caratteristiche abbastanza peculiari rispetto alla storia dei titoli di questo IP:
- ambientazione: Battlefield 1 è il primo FPS moderno (titolo AAA) ad invertire il trend e tornare alle origini, anzi addirittura ad un periodo storico antecedente al primo titolo della serie
- motore grafico: il nuovissimo motore grafico che si distanzia nettamente da quello dell’ultimo titolo (Battlefield 4) introduce effetti visivi stupefacenti.
- storia: Per quanto non sia lunghissima, la campagna giocatore singolo di Battlefield 1 è più lunga ed articolata dei titoli precedenti, innovando anche attraverso l’inedita narrazione attraverso l’esperienza di più protagonisti.
- UI: l’interfaccia utente di Battlefield 1 è minimale e scarna, con pochi elementi visuali ma immediatamente riconoscbili.
- teamwork: l’ultimo capitolo della serie è molto più orientato al gioco di squadra, con una netta differenza di performance fra squadre ben affiatate ed unite ed i soliti Rambo da tastiera.
- semplicità: il gioco risulta scarno e semplice, facilmente intuibile e con relativamente poche armi, la cui pluralità si limita alle variazioni di stessi modelli, con attachments e caratteristiche fissi per modello e non modificabili dall’utente (per es. distinzione fra modello base, da cecchino e da trincea)
- nuova Levolution: invece di grattacieli che crollano abbiamo l’evoluzione del campo di gioco affidata agli agenti atmosferici o ai behemoth distrutti.
- behemoth: un nuovo elemento tattico che permette ad un team ben coordinato di rovesciare le sorti di una battaglia, un enorme mezzo con potere di bombardare ed uccidere in intere zone della mappa, ma anche abbastanza debole da non essere invincibile.
- Nuove modalità di gioco fra cui: cattura il piccione e Operazioni (di fatto una conquista sparsa su più mappe, con una continuità logica e di gioco fra una partita e l’altra)
Al tempo del rilascio dei trailer dei due giochi e delle successive polemiche (con la stravittoria del trailer di Battlefield 1) si era ipotizzato lo scenario in cui Battlefield avrebbe battuto in vendite Call Of Duty, proprio sulla scorta di questo evidente malcontento.
Era però evidente ai più che ciò non sarebbe successo, anche se probabilmente i dati di vendita avrebbero evidenziato una netta variazione rispetto agli anni precedenti.
I fatti poi hanno datto ragione a queste ultime realistiche considerazioni, come si può constatare dai dati emersi finora.
Ma ciò che mi ha più stupito è la reazione del pubblico. Perchè nonostante sia indubitabile che il livello di raffinatezza e polish generale del titolo sia inusitata e di molto superiore rispetto agli ultimi titoli della serie, Battlefield 1 non riesce – sembra – ad entusiasmare e pur avendo ottimi risultati di pubblico, non raggiunge il successo che ci si aspettava.
La più comune considerazione su Battlefield1: non entusiasma
La più comune lamentazione che si sente in giro per Internet è che Battlefield 1 sia banalmente un gioco noioso, non cioè abbastanza stimolante o divertente da poter mantenere un pubblico interessato.
Ora è vero che il gioco in sè è andato live in una versione abbastanza scarna per quanto riguarda il numero di mappe, ma questo non è stato mai un problema ed è (per quanto sia criticabile) un fattore comune a molte ultime uscite.
La pietra della discordia quindi, per esclusione, non può esssere proprio che la mancanza di un numero “sufficiente” di armi ed attachments. Di certo la loro scelta non è nemmeno vagamente paragonabile al numero di armi di Battlefield 4 (agevolmente oltre il centinaio). Anche il sistema di attachments non è a discrezione del giocatore ma distingue le varie versioni dello stesso modello di arma, in modo molto simile al sistema di armi di Battlefield Bad Company 2.
E questo è stato una fonte di stupore e di sorpresa da parte mia in quanto ho sempre desiderato un ritorno ad un impianto di gioco semplice e robusto che privilegiasse la rigiocabilità e la flessibilità in varie occasioni, evidenziate opportunamente dall’accorto design delle mappe del gioco. Ho sempre desiderato un limitato set di armi bilanciato (senza armi sfacciatamente superiori) ed un altrettanto limitato set di varianti adatto ad ogni situazione tale per cui si possa spaziare valutando però attentamente l’impatto di una variante o dell’utilizzo di un’arma piuttosto che un’altra in un certo ambiente ed in certe condizioni (mappa, tipo di gioco dell’avversario etc.). Sono stato felice di notare un deciso passo in questa direzione nel nuovo Battlefield 1.
Battlefield 1 è fatto troppo bene, senza elementi inutilmente esornativi
Ebbene a quanto pare ciò non è quello che il videogiocatore moderno vuole. Il giocatore moderno vuole milleseicento mostrine con cui fare il figo con gli amici. Vuole millequattrocento armi tutte da “platinare”, per l’unico scopo di “avere qualcosa da fare” e presumibilmente finito il “compito” di platinarle tutte, trovare l’unica che poi userà davvero per giorni e giorni perchè OP.
Invece che poche armi da saper usare bene e saper dosare bene vuole un turbinio di aggeggi, gadget, mostrine, skin.
Insomma i tempi sono cambiati. In una realtà con un utente dalla capacità di concentrazione minima l’unico modo di ottenere attenzione e captivation è un perenne fugace gioco di palline fatte roteare in aria in modo da creare uno stimolo effimero ma continuo.
Alla luce di un elemento come questo, per quanto sia un dettaglio, comincio a capire le logiche messe in atto dalla parte dei produttori del mondo videoludico. La varietà spasmodicamente reiterata è ormai un valore in sè e per sè. Sulla scorta di ciò una mossa sfrontata come far pagare un season pass tanto quanto un gioco a release date non è più una pazzia, ma una via economicamente percorribile e proponibile. Perchè in fondo ha valore ciò che lo ha agli occhi del consumatore.
Quanto ciò sia frutto di una sapiente conduzione da parte dei produttori e quanto sia una conseguenza della naturale evoluzione dei valori e della percezione della realtà della società moderna, non mi è chiaro. Ma per quanto non possa negare di provare una certa malinconia nel riconoscere i chiari segni che mi pongono definitivamente in un mindset appartenente al passato (anche nel mio campo preferito), non riesco a scuotermi di dosso la curiosità di sapere cosa verrà dopo.
Ti è piaciuto questo articolo? Dicci cosa ne pensi nei commenti qui sotto o esplora altri contenuti dal nostro menù!
Hai una storia da raccontare o un'opinione da condividere? Mandaci il tuo articolo scrivendoci a [email protected].
Vuoi unirti al nostro team e collaborare con noi? Scopri come candidarti alla pagina dedicata: collabora.