Di quanto il cinema e la tv orientale, in particolare quella nipponica e sud coreana, fossero validi e, nonostante ciò, ampiamente sottovalutati, avevo già avuto la possibilità di parlarne in questo articolo.
E, da allora, le cose si sono evolute ancor di più e in positivo per il Cinema Coreano. L’enorme successo di film come “Train to Busan” e il recentissimo trionfo agli Oscar di “Parasite”, hanno saputo rilanciare nuovamente la Corea del Sud come una delle più importanti e per certi versi, innovative cinematografie mondiali.
Per chi ama da sempre questo mondo, non c’era davvero bisogno dell’immensa pellicola di Bong Joon-ho per capire quanto i coreani siano migliorati nel corso degli anni, di quanto siano stati capaci di reinventarsi senza mai rimanere troppo indietro rispetto ai più grandi e famosi registi dei nostri tempi. Di sicuro, però, per il mondo occidentale che non si è mai approcciato a una tale lingua, a tali tradizioni e a un tale modo di fare cinema, potrebbe essere una grande scoperta. La scoperta che genera sorpresa nel constatare che non siamo soli, tra Europa e America, a scrivere e produrre film ma che udite udite, ci sono anche i c.d. “cinesi”. Generalizzazioni a parte, che siano giapponesi, cinesi, taiwanesi o coreani, fa sempre piacere vedere qualche nome nuovo agli Oscar, soprattutto se si tratta di meriti attribuiti secondo giusta causa (come in questo caso). Per cui, approfittiamo del grandissimo successo di “Parasite” per recuperare alcuni titoli che potrebbero essere sfuggiti ai più.
Cinema Coreano e dove trovarlo
In particolare, sono tre i registi che portano con fierezza la bandiera del grande cinema nella Corea del Sud: il già citato Bong Joon-ho (Parasite), Park Chan-wook (Old Boy) e Kim Ki-duk (Ferro3 – La casa vuota). Ma, attorno a loro, ruota un’intera costellazione di talenti fra attori e registi che non ha nulla da invidiare ai più grandi nomi che noi tutti conosciamo. Per cui, senza tergiversare oltre, cerchiamo di ripercorre alcune delle pellicole che, se già vi manca “Parasite”, sapranno come aiutarvi in tale momento di crisi. Tutto per (ri)scoprire questo fantomatico mondo del cinema coreano.
Per capire film come “Parasite” , occorre sapere che la società coreana si trova più o meno al punto in cui si trovava quella italiana mezzo secolo fa: la diffusione della religione cristiana (in Corea per metà sono atei e, l’altra metà, si suddivide a sua volta fra cristiani e buddisti) l’ha resa un po’ bigotta, tant’è che è estremamente raro vedere in film e serie tv scene spinte, che vadano oltre il semplice bacio, e l’omosessualità è ancora un tema estremamente delicato. Infatti, molte autrici di manhwa (il corrispettivo dei manga giapponesi) che affrontano tali argomenti, decidono di farlo camuffandosi dietro un nome d’arte. La disparità sociale tra ricchi e poveri è ancora molto marcata, tanto che i chaebol (gli eredi dei grandi conglomerati aziendali a gestione familiare) sono mostrati in film e serie tv come degli inguaribili indolenti a cui la legge non riesce mai ad arrivare. La Corea del Sud è tuttora un Paese estremamente maschilista e qui si rende necessario menzionare film di registe donne come “Born 1982” di Kim Ji-young, che illustra le prevaricazioni subite da una madre casalinga e che in patria ha scatenato la rivolta degli uomini con tanto di petizioni.
Qualche titolo
Alcuni dei titoli più belli coreani, esplorano il mondo della criminalità e i suoi codici, così come i film che indagano l’altra parte della barricata, quella della polizia: “Nowhere to Hide” (Lee Myung-se), “Memorie di un assassino” (Bong Joon-ho), “Man in High Heels” (Jang Jin), solo per citarne alcuni. Il tema della corruzione delle istituzioni è, infatti, un altro di quelli più cari alla penisola che, come il Giappone, è particolarmente sensibile alla disonestà di chi dovrebbe, invece, essere un esempio per tutti coloro che non hanno mezzo adeguati con cui difendersi. Basti vedere film come “Ordinary Person” (Kim Bong-Han) o la serie “Designated Survivor” per capirlo.
Ottime anche le produzioni di genere horror come “The host” di Boong Joon-ho, “Train to Busan” di Yeun Sang Ho, oppure la serie tv disponibile su Netflix e che conta già due stagioni “The Kingdom”. Tuttavia, più che un cinema dei generi, quello coreano resta un cinema d’autore: i festival di Cannes, Venezia e Berlino osannano da sempre nomi come quello di Park Chan-wook di “Old boy” e “Thirst”, Jang Jin di “Guns & Talks” e “Man in High Heels”, Kim Jee-woon di “Il buono, il matto e il cattivo”, l’osannato Kim Ki-duk di “Pietà” e “Bad guy” e, ovviamente, quello di Bong Joon-ho per “Madre” e (manco a dirlo) “Parasite”.
Di sicuro, nel corso di questo articolo posso aver dimenticato o tralasciato qualcosa di ugual, se non di più, valore rispetto ai nomi e titoli citati. Tuttavia, queste poche parole dedicate a quello che è un mondo in crescita e, per certi versi, ancora sconosciuto ai più, vorrebbero solo invogliare il più curioso a non fermarsi solo su “Parasite” e di andare oltre, perché c’è tanto, ma davvero tanto da apprezzare. Non posso che essere d’accordo su quanto detto dallo stesso Bong Joon quando, dopo aver trionfato al Festival di Cannes e ai Golden Globes, ha ironizzato sul fatto che sia ora per il pubblico statunitense ed europeo di abbandonare la grettezza mentale propria di chi si rifiuta di vedere film in lingua originale per scoprire una realtà meravigliosa composta da film provenienti da tutto il mondo.
Per cui, siate curiosi, andate oltre i pregiudizi e amate le cose fatte bene, a prescindere quale sia il loro Paese di provenienza. Perché la bellezza è una lingua universale e non è necessario seguire un qualche tipo di corso per coglierla. Basta aprire la propria mente al nuovo, con la consapevolezza che ciò non possa mai e poi mai comportare un sacrificio da parte nostra.
Paola.
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