Siamo certi che guardate opere d’animazione, i cosiddetti “cartoni animati”, se lo fate e avete più di venti anni qualcuno nella vostra vita prima o poi vi avrà detto le seguenti parole: “Ma non sei un po’ troppo grande per guardare i cartoni animati?”
E ogni volta che queste parole ci giungono l’orecchio è un misto di rabbia, vergogna e disperata e silenziosa accettazione di un mondo che non ci accoglierà mai veramente.
Nonostante tutto questo, comunque, l’unica cosa che siete troppo grandi per fare, è dare retta ad altri adulti che stanno parlando sopra alla vostra serie preferita e non vi fanno sentire niente.
Quindi anche se vi dicono una cosa del genere voi continuate a guardare i vostri Cartoon e soprattutto continuate a trarne giovamento, questo nessuno potrà mai togliervelo.
Però, con l’età, arriva anche un diverso punto di vista. Maggiore consapevolezza forse, si fa occhio a particolari differenti e si ragiona in prospettiva, forse ogni tanto, anche con qualche flashback di troppo.
Prendete Cartoon Network ad esempio, peschiamo dal suo cappello a cilindro di cartoni quasi a caso, parliamo di “Craig of the Creek”.
Craig of the Creek è un’opera apparentemente semplice quasi superficiale a uno sguardo disattento, ma mano mano che ci si inoltra nella visione si arriva a una consapevolezza più consolidata. In quel momento la frase che ci balza in mente non è quella suggerita da chi invidia un po’ la nostra capacità di guardare ancora i cartoni animati (più che altro invidia il fatto che abbiamo il tempo per farlo), ma è: “Sono davanti al cartone animato che avrei voluto vedere da piccolo”.
Ogni tanto capita di arrivare a quella consapevolezza, di alzare la mano aperta per ricevere un cinque extratemporale dal proprio “io” perso nel passato perché ci si trova di fronte alle stesse emozioni che si è vissute ere geologiche prime.
Craig in the Creek è ambientata in Maryland, e narra le avventure di Craig (Williams), Kelsey e J.P., loro, insieme a un quantitativo pressoché infinito di ragazzi, frequentano “il ruscello” nella foresta vicino a casa e lì, di nascosto da tutto e tutti (per quanto a quell’età tu riesca a mantenere un segreto a un adulto) vivono le loro avventure in una buffa utopia basata sul fantasy con un personalissimo modo di vedere il mondo.
Una visione che unisce il ciclo arturiano, ai videogames per passare a Dungeons And Dragons con tanto di consiglio di “anziani Nerd” da interpellare nel caso di dubbio.
Craig of The Creek riporta pedissequamente la visione del mondo che può avere un bambino Nerd, più che visione, il modo nel quale un ragazzino appassionato della nostra cultura spera che sia il mondo, dove i tuoi amici ricalcano un ruolo preciso, una classe, per la quale sono nati, per la quale nemmeno si sforzano di dover interpretare.
Perché, a una certa età, riuscivi a distinguere chiaramente le “classi” di chi ti circondava, chi era un guerriero, chi un mago o chi un ladro. Entrambi non avevate bisogno di dirle, erano lì, ovvie, alla luce del sole. Ed era un “linguaggio” che solo chi aveva le tue passioni poteva comprendere dal quale gli adulti erano esonerati, magari sbuffavano roteando gli occhi mentre gli spiegavi la differenza tra un mago e uno stregone, una differenza che era ovvia per te ma avvolta dalla nebbia per loro.
Craig of The Creek è così, e allora anche se di anni ne avete trenta, dategli una possibilità perché sarà come indossare un paio di occhiali, da Nerd, che vi mostreranno il mondo come lo vedevate a quell’età e magari, se siete fortunati, come lo vedete ancora.
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