Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. È questa la frase con cui Umberto Eco conclude la sua opera più famosa ed è in questa stessa manciata di parole che è racchiuso il significato nascosto del titolo (o almeno una parte di esso). Tale frase è in realtà una citazione di un’opera scritta da un monaco benedettino del XII secolo, Bernardo Moliacense. Essa asserisce che “la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”. Ergo, il “nome” sopravvive a qualsiasi elemento soggetto allo scorrere del tempo.
Un concetto diametralmente opposto al pensiero di Shakespeare, secondo cui il nome della rosa è superfluo poiché è il suo profumo a renderla unica. Per Eco, l’opera è sempre più intelligente del suo autore e qualsiasi lettore potrebbe trovare al suo interno messaggi che lo scrittore stesso non sognava nemmeno. Deve essere per questo motivo che il segreto del titolo viene svelato solo nell’ultima riga: perché non permettere al lettore di ipotizzare?! Eppure questo è solo uno dei tanti misteri nascosti tra le pagine de Il Nome della Rosa.
Il Nome della Rosa: Il Libro
Pubblicato per la prima volta nel 1980, prima in Italia e poi in 35 paesi diversi, Il Nome della Rosa è oggi considerato un vero e proprio classico della letteratura contemporanea. Esso fu il romanzo d’esordio di Eco ma la fama dell’autore era già talmente grande e consolidata che ebbe presto un enorme successo. Andando al di là della trama da giallo storico, il romanzo ritrae un’importante parentesi storico-filosofica dell’Europa medievale, in cui dilagavano povertà ed ignoranza, mentre la chiesa godeva di poteri e ricchezze senza eguali.
Non tardarono ad arrivare anche molte critiche, soprattutto da parte di chi lo reputava un testo estremamente pretenzioso. Effettivamente la complessità della trama, i sottili riferimenti storici e la presenza di molte citazioni in latino, rendono il romanzo particolarmente spinoso. Nonostante ciò Il Nome della Rosa è stato (e viene ancora) apprezzato, non solo da grandi eruditi ma da persone appartenenti a tutti i livelli di scolarizzazione. Ciò non fu affatto un caso, lo stesso Eco asserì di aver costruito la sua opera su più livelli di lettura, in modo da poter affascinare ed intrattenere potenzialmente qualunque tipo di lettore.
Differenze tra Libro e Sceneggiatura
Si sa, adattare un romanzo molto amato dal pubblico, all’audiovisivo, comporta sempre una certa dose di rischio. Nel caso de Il Nome della Rosa, le probabilità di commettere un passo falso erano raddoppiate visto il precedente costituito dal film dell’86 e le altissime aspettative del pubblico. Non spetta certo a me giudicare se la miniserie omonima di Rai Fiction sia riuscita a centrare l’obiettivo ma è possibile comunque fare qualche considerazione a riguardo.
I puristi del romanzo se ne saranno certamente accorti: sussistono alcune differenze piuttosto evidenti tra la serie e l’opera originale. Nonostante la trama di base sia rimasta sostanzialmente la stessa, alcune vicende riguardanti personaggi secondari, e non, sono state modificate o ampliate. Lo stesso Adso da Melk (il narratore della storia) e la scena riguardante il suo incontro col protagonista, hanno subito una certa trasformazione. L’aggiunta più corposa è invece costituita da Anna, la figlia dell’eresiarca Dolcino da Novara, la quale non era presente nel testo originale.
Il Nome della Rosa: La Serie Tv
Da un punto di vista più tecnico la serie è certamente di ottima fattura. Le scenografie (in parte realizzate a Cinecittà) non hanno nulla da invidiare ad altre grandi produzioni estere. Il cast multiculturale è molto valido. In particolare John Turturro, è riuscito a sostenere divinamente il confronto con il frate Guglielmo di Sean Connery (il che è tutto dire). L’unica nota dolente è invece data dall’interpretazione fornita da Rupert Everett di Bernardo Gui. La crudeltà dell’inquisitore risulta infatti essere fin troppo enfatizzata, il che lo rende decisamente poco credibile.
Giustificati o meno, i cambiamenti apportati alla trama de Il Nome della Rosa non intaccano minimamente la godibilità dell’opera e anzi, risultano spesso piuttosto interessanti. La trasformazione dell’identità della povera ragazza senza nome, in una profuga occitana, appare particolarmente azzeccata, facendo anche riferimento a quella che è una grave tragedia dei giorni nostri. Una critica negativa basata solamente sulle differenze tra romanzo e sceneggiatura avrebbe decisamente poca ragion d’essere. Nonostante il gusto discutibile di chi pretende che un’opera tratta da un’altra debba essere la copia sputata dell’originale, fortunatamente molte produzioni odierne preferiscono dare il proprio contributo. Certo, aggiungere nuovi ingredienti alla ricetta della nonna può essere rischioso, ma qualche volta funziona e il prodotto finale ha comunque un buon sapore.
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