Che fosse nell’aria, che tutti ne parlavano, che se ne leggesse per ogni dove, lo si sapeva. Personalmente, mi sono sforzata di chiudere gli occhi e di andare avanti, facendo finta che fosse uno di quei fastidiosi rumor destinati a morire nel giro di un paio di settimane. Eppure, ovviamente, non è stato così. Dato che, purtroppo, anch’io alla fine sono stata costretta ad ammettere la realtà dei fatti, mi sono costretta ad approfondire il “fattaccio”, il tutto mentre stringevo al petto la mia fedele e vecchia (vecchissima) edizione de Il signore degli Anelli, perché sì, è davvero ufficiale: le copie de Il signore degli Anelli recanti la vecchia traduzione di Vittoria Alliata sono state rimosse da ogni store, che sia esso fisico o online, per poi essere distrutte, bruciate, annientate, fino alla prossima estate, quando si potrà acquistare solamente l’edizione dei tomi nella traduzione di Ottavio Fatica.
Il Signore degli Anelli tra vecchia e nuova edizione
Ma, allontanando gli isterismi, cerchiamo di andare per gradi e capire che cosa sia successo, perché le radici di questa decisione vanno ricercate, infatti, in una disputa che, da alcuni anni, sta coinvolgendo Alliata contro la casa editrice Bompiani, tutt’ora unica detentrice delle opere del filologo britannico in Italia. Le tensioni sono iniziate quando la Bompiani ha continuato a pubblicare i libri revisionati per mano della traduttrice senza il suo consenso, anche dopo che non le era stato rinnovato il contratto scaduto in precedenza. Nonostante un nuovo tentativo di accordo, queste non hanno fatto altro che aumentare, soprattutto quando Alliata ha deciso di allargare la disputa querelando sia O. Fatica che la giornalista Loredana Lipperini per via di una domanda che aveva fatto allo stesso Fatica durante un’intervista per Repubblica, ovvero:
La traduzione precedente è stata molto criticata: a ragione?
Facilmente comprensibile, quindi, è la diatriba nata anche tra i fan e gli studiosi che hanno dato vita ad un enorme dibattito, talvolta viziato da pregiudizi del tutto infondati. Ma immergiamoci nei dettagli e scopriamo come, ciò che salta subito all’occhio e che ha fatto sorgere le prime polemiche, è stata la scelta di (ri)tradurre nomi propri e toponimi: così, per esempio, Oldbuck diventa Vecchio Daino; Samvise è ora Samplicio; La Locanda del Puledro Impennato cambia gestione e si chiama Cavallino Inalberato; Grampasso si ritrova impiegato per i Forestali.
Al di là del chiaro fastidio nostalgico che una tale (ri)traduzione possa suscitare nel lettore tolkieniano, è interessante osservare le ragioni che muovono tale scelta, ragioni tutt’altro che gratuite. Il clamoroso cambio di nomi, infatti, non è che il segnale più evidente di un’operazione molto più profonda, basata su una manovra che andrebbe ad “alleggerire” il registro linguistico tipico della vecchia traduzione, per avvicinarlo, così, ad un italiano più moderno. Al contrario, la traduzione de Il Signore degli Anelli di Alliata sceglie i termini italiani nel tentativo di evocare adeguatamente la descrizione generale e l’atmosfera del testo, con ampie libertà personali come, per esempio, l’uso di figure retoriche affatto assenti nell’inglese (un solo aggettivo nell’originale è sovente reso con due aggettivi italiani); il fatto di accorpare alcuni paragrafi o spezzare periodi liberamente e così via.
Ma c’è dell’altro. Osservando nel dettaglio il testo inglese di Tolkien, il lettore potrà accorgersi di come l’originale non possegga assolutamente un registro uniforme: al contrario, Hobbit, Elfi, Nani presentano linguaggi specifici e persino singoli personaggi, come Frodo, hanno un modo di parlare tutto loro. Tutto ciò è assente nella traduzione di Alliata, laddove si opta per uno stile uniforme e monodico. Al contrario, nella versione di Fatica, il lettore si accorgerà di come si cerchi di utilizzare differenti registri linguistici italiani per restare fedele a tale caratteristica del testo inglese. Per fare un esempio in tal senso, cito la celebre Poesia dell’Anello, da cui si può notare come, nel tradurla, Fatica abbia voluto aderire all’originale quanto più possibile sul piano semantico, e utilizza un vocabolario italiano ordinario e contemporaneo, laddove invece Alliata rende il testo con modellature personali, riproponendo uno schema di rime e metrica in un linguaggio arcaico ed evocativo:
La versione originale:
Three Rings for the Elven-kings under
the sky,
Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone,
Nine for Mortal Men, doomed to die,
One for the Dark Lord on his dark throne
In the Land of Mordor where the Shadows lie.
One Ring to rule them all, One Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them.
In the Land of Mordor where the Shadows lie
La versione di Alliata:
Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il
cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l’Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende.
La versione di Fatica:
Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo,
Sette ai Principi dei Nani nell’Aule di pietra,
Nove agli Uomini Mortali dal fato crudele,
Uno al Nero Sire sul suo trono tetro
Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano.
Un Anello per trovarli, Uno per vincerli,
Uno per radunarli e al buio avvincerli
Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano.
Il Signore degli Anelli di Alliata è, quindi, un testo epico: strutturato cioè in una forma che richiama, da un lato, le saghe cavalleresche e l’arte retorica petrarchesca, e, dall’altro, il dettato delle saghe norrene e celtiche. Quello di Ottavio Fatica, invece, è un Tolkien quotidiano, scorrevole alla lettura, asciutto, realistico. Non si tratta dunque di capire quale traduzione sia più “fedele”, ma di fare i conti con la nostra concezione del testo tolkieniano.
Per quanto mi riguarda, ad esempio, io che ho sempre amato l’Achille borioso e le lacrime di Priamo, non posso che ritenere, quello di Tolkien, un testo di matrice epica, dai profondi valori simbolici. Per questo, non amo la traduzione di Ottavio Fatica. E, soprattutto, ho l’impressione che le nuove scelte linguistiche di Fatica, pur nella loro precisione, producano tuttavia sostanzialmente un risultato grottesco: l’etimologia del nome Samvise può essere più giustamente restituita semanticamente da Samplicio, ma l’atmosfera fantastica del testo, introducendo un nome del genere, si perde e ci si sente improvvisamente catapultati in un mondo odierno, privo di fantasia, che nulla sa della magia di una figura retorica. E, se certo è più corretto tradurre dicendo che Aragorn milita nei “Forestali”, tuttavia, per un attimo, si rischia di non sentirsi più nella Terra di Mezzo, bensì nell’ultima puntata di Un passo dal cielo insieme a Terence Hill.
Concludendo, vanno bene le critiche, va bene sentirsi feriti come da un pugno in pieno stomaco, ma non sarebbe altrettanto giusto gridare allo scandalo di una “traduzione inesatta” perché, effettivamente, così non è. Si tratta, più che altro, di una questione di gusto e di amore per qualcosa che tanto ci ha dato e che, al di là di qualsiasi altra diatriba potrà mai nascere, sempre, continuerà ad emozionarci per il solo fatto che esiste e che continuerà a farlo nella sua immortalità.
Paola.
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