La tecnologia sta prendendo il sopravvento sulle nostre vite?

Oggi non riusciamo neanche a pensare a una giornata senza la tecnologia. La indossiamo, la usiamo, la viviamo, ci aiuta praticamente in tutto. Compie le scelte al posto nostro, lavora al posto nostro, dialoga al posto nostro.

Possiamo mandare il buongiorno direttamente dallo smart͏watch e possiamo ordinare il pranzo con un tap sul cellulare. Vediamo se è davvero tutto positivo o se troppa tecnologia potrebbe anche riservarci delle brutte sorprese.

Un mondo a portata di schermo

Non ce ne accorgiamo neanche, ma trascorriamo tantissimo tempo davanti agli schermi dei nostri smartphone e dei pc. Secondo Exploding Topics, passiamo circa 6 ore e 40 minuti al giorno davanti a uno schermo, quasi un terzo delle 24 ore che abbiamo a disposizione. Non solo sui social, ma anche sulle chat di lavoro, usiamo il GPS per la navigazione, le videochiamate per la famiglia e lo streaming per il tempo libero.

In molti casi, questi minuti non rappresentano un vizio, ma una necessità. Per esempio, le banche, i servizi sanitari e anche i servizi statali stanno cercando di automatizzare tutto e di rendere ogni modulo disponibile in rete. Però, siamo davvero sicuri di voler vivere tutto online? Sempre connessi? Non c’è altra opzione?

La rivoluzione silenziosa dell’IA nella nostra routine

Dopo il boom dei grandi modelli linguistici, l’intelligenza artificiale sembra ovunque, eppure l’utilizzo reale è meno lineare di quanto si pensi. Un’indagine di febbraio 2025 mostra che l’80% dei lavoratori statunitensi non usa l’IA sul lavoro e solo il 16% la impiega ogni tanto.

Questo dato sorprende un po’ perché tutti abbiamo l’impressione che l’IA sia già molto inserita nelle nostre vite, eppure non del tutto. Significa due cose:

  1. L’IA è ancora percepita più come hype che come uno strumento concreto.
  2. Esiste un ampio margine per decidere come, e se, integrarla nelle routine professionali.

Nel frattempo l’IA è già invisibilmente nei filtri antispam, nei suggerimenti automatici delle e-mail e negli algoritmi che scelgono quale musicista comparirà nella tua prossima playlist. È un’integrazione graduale, spesso silenziosa, che rischia di passare inosservata finché non diventa impossibile farne a meno.

Competenze digitali: il tallone d’Achille europeo

Saper usare lo smartphone non equivale a possedere delle competenze digitali robuste. La Commissione UE fotografa la situazione: solo il 55,6% degli adulti europei raggiunge la soglia minima di competenze digitali di base.

In pratica, quasi un cittadino su due rischia di trovarsi escluso dai servizi essenziali, dalla firma elettronica alle pratiche per i bonus e i certificati. Il paradosso è evidente: mentre la società spinge sul pedale dell’innovazione, la metà della popolazione guida ancora senza la patente digitale.

Questo divario non riguarda solo la capacità di fare click e di accedere ai servizi, ma anche di comprendere i meccanismi dietro a quello che scorriamo. Per esempio, il saper riconoscere una bufala, il tutelare i propri dati o semplicemente il configurare la doppia autenticazione. Colmare il divario significa, quindi, restituire libertà di scelta più che aggiungere un’altra app alla schermata.

Quando la tecnologia migliora anche il gioco

La spinta tecnologica ha raggiunto perfino i siti di gioco non AAMS, le piattaforme internazionali non regolamentate dall’ente italiano. Hanno delle interfacce responsive, accettano i pagamenti in criptovalute e forniscono un’assistenza 24/7 tramite i chatbot. I portali come toninoguerra.org mostrano una carrellata dei migliori siti di gioco non AAMS a disposizione, con i relativi bonus e le offerte più convenienti.

Se fino a qualche anno fa il gaming era un settore spesso percepito come di nicchia, adesso tutti possono accedere anche dal proprio smartphone e possono giocare con pochi semplici tap. Le piattaforme integrano degli algoritmi di auto-esclusione e le analisi in tempo reale del comportamento per promuovere il gioco responsabile.

E adesso? Cosa ci riserva il futuro?

Chi teme un futuro dominato dai gadget forse dimentica che il potere di modulare l’uso resta ancora nelle nostre mani. Ecco tre spunti pratici per chiudere fare il punto della situazione:

  1. Imposta delle zone libere dagli schermi in casa: non è nostalgia analogica, è igiene mentale.
  2. Sfida l’assistente vocale: chiedigli di spiegarti come ha trovato una risposta, se non può, forse non ti serve davvero.
  3. Fai formazione a piccoli passi: un corso pubblico gratuito o un tutorial verificato possono spostare la lancetta da “utente passivo” a “utente competente”.

E ricordati che il 48% degli americani riconosce di usare la tecnologia in modo diverso rispetto a prima della pandemia. Cambiare le abitudini è possibile: lo abbiamo già fatto una volta, possiamo farlo di nuovo.

In fondo, la domanda non è se ci affidiamo troppo alla tecnologia, ma come vogliamo usarla, prima che sia lei a usare noi. Abbiamo bisogno di così tanto comfort o, a lungo andare, rischia di diventare dannoso per la nostra stessa evoluzione? Ci sembra tutto così scontato, ma non lo è affatto, dobbiamo interrogarci sulla questione prima che ci possa sfuggire di mano.

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